26
Ago 2008
ore 16:39

Parlano i cuochi

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SONO I NUOVI MAITRES A' PENSER DI UNA SOCIETA' STANCA?

Mi ha detto un importante manager editoriale ?I cuochi sono i nuovi maitres à penser e per questo faremo libri con i cuochi più importanti?.
Credevo mi prendesse in giro, era serio anche se ironico, business is business.
E io che questi maestri li frequento da una trentina d?anni non mi ero accorto di nulla?
Beh, qualcosa avevo incominciato a sospettare quando alcuni di loro erano passati da cuochi a chef e poi da chef a griffe.
Non è un gioco di parole ma è il percorso iniziato da Marchesi tra il 1978 e il 1985 e poi da Vissani, con l?uso massivo e ultradecennale della televisione, in particolare Rai1.
Ma eravamo ancora ai primi accenni artigianali di protagonismo.
Nel frattempo all?estero i cuochi francesi della nuova generazione, i Veyrat, Ducasse, Troisgros, Gagnaire diventavano griffe ma era alle porte la rivoluzione catalana di Ferran Adrià.
Con lui tutto cambia, anche l?immagine del cuoco, e a San Sebastian nasce il palcoscenico dei nuovi cuochi.
Gli italiani si scoprono bravi attori. Sono Alajmo, Cedroni, Scabin, Cracco, Crippa, Esposito ecc? che intercettano in modi diversi questa nuova onda.
E così oggi  parlano i cuochi e fanno libri, e interviste, pubblicità, trasmissioni televisive e viaggiano.
Maitre, ma di che? 

commenti 72

Ad esempio...maitre à panzé(tt)?
(Scusate ma non ho resistito anche se so di concorrere per il premio "scemenza del giorno"). :-)))

Però più seriamente, io non ho capito. Quando parlo con le persone a quasi nessuno frega niente dei cuochi e ancor meno di andare nei grandi ristoranti per carità che danno fanno cose strane e c'è pure la crisi. Quindi a chi interessa tutto questo show biz culinario? Sempre alla solita piccola cricca?

26 Ago 2008 | ore 17:51

direttore scusi l'introsione mi hanno fatto una nota sul mio blog che le DOCG sono 40 ma da un contatto con il ministero agrigoltura ne risultano 38...che mi dice? scusi non centra con il suo post...sono perdonato?

26 Ago 2008 | ore 18:10

Secondo me è il prodotto di un movimento che non ha capito che il contesto è cambiato! ora c'è la crisi e quindi la gente è meno disposta a leggere ed ascoltare ciò che ritiene superfluo! Qualcuno invece pensa di essere ancora nel momento del boom e quindi spazio ai cuochi anche se non hanno niente da dire o se non sono in grado di comunicare!
Però non ho ben capito la posizione del Direttore...non aveva avvertito il cambiamento???
Possibile???
Saluti Raffaele

26 Ago 2008 | ore 18:12

Ma, non credo che sia la solita cricca perché questo signore era di una grossa casa editrice e loro fanno solo prodotti che vendono, possibilmente molto.
Il discorso sui cuochi è complesso: non fregherà niente a nessuno ma alcuni di loro hanno grande visibilità e non dico Vissani, vecchia leva e, credo, più antipatico-televisivamente che cuoco. Parlo degli altri, di un Cracco che è protagonista di una campagna di pubblicità da un milione di euro su quotidiani nazionali e televisione.
Parlo di Alajmo, più giovane tre stelle d'Europa o Scabin, che fa la cucina accanto a un museo.

26 Ago 2008 | ore 18:16

proprio ieri siamo stati redarguiti perchè la nostra recensione di uliassi non conteneva fotografie di qualità sufficiente per immontalare le opere d'arte che ci sono state servite.
Ora io ho una altissima opinione del lavoro di Mauro, ma non sarà che stiamo confondendo l'arte con l'opera pur mirabile ed affascinante, di strabilianti artigiani?
Non sarà che alcuni chef si sentano oramai i Van Gogh della situazione e quindi dispensino assieme all'arte anche insegnamenti di vita?
Faranno un partito?

26 Ago 2008 | ore 18:20

Io penso che tutta questa situazione, per molti versi squilibrata, si aggiusterà naturalmente.
Certo, il fenomeno delle foto e dei blog è stato uno stress per il settore.
Dapprima hanno abbozzato poi molti di loro hanno deciso di non permettere più di fare le foto ai "dilettanti" facendo con ciò una selezione tra chi fotografa per giornali, periodici o agenzie e appassionati.
E' un problema che si risolverà con la maturazione qualitativa degli uni e comunicativa degli altri.
E' un terreno sul quale vale la pena discutere senza partiti presi ma per trovare una soluzione.

@ Raffaele

Si, ho avvertito il cambiamento ma qui sto registrando un fenomeno, delle scelte editoriali che comunque avranno delle implicazioni, sia nel caso di un flop che in quello di un successo.

26 Ago 2008 | ore 18:38

una chiave di lettura, banale ma spesso azzeccata, mi pare sia quella economica. l'Alta Ristorazione di per sè spesso non paga (lo scriveva Lei direttore millemila anni fa in un Suo editoriale: se volete arricchirvi aprite una pizzeria) e manda i conti in rosso. Per integrare occorre il resto: l'editoria, il catering, la consulenza, la cessione dei diritti d'immagine, la griffe eccetera.

PS.: ahò, ma tutti addosso a noi poveri fotografi della domenica?!? ;-)

26 Ago 2008 | ore 18:47

Sabato prossimo Carlo Cracco terrà una conferenza a Sarzana al Festival della Mente: ho prenotato un posto, memore dell'esperienza con Scabin di un paio d'anni fa, che fu molto interessante e divertente. Per un appassionato credo che sia importante non solo provare la cucina di un grande chef (quando possibile, e Cracco, un po' costoso per i miei parametri, è un po' fuori quota), ma anche conoscere le idee che stanno dietro un modo di fare cucina. Come per Scabin, come per Allan Bay (domenica), anche per Cracco credo sia tutto esaurito: la combriccola è più numerosa di quel che sembra. Io non mi sento pecora del gregge che segue una moda, non mi sento vittima di un sistema pubblicitario: mi piace, mi diverto e credo di imparare qualcosa, anche al di là della enogastronomia. Come frequentando questi blog del Gr, per esempio.

26 Ago 2008 | ore 18:52

Il fatto è che in Italia non c'è cultura enogastronomica,di mangiare bene alla gente non interessa, i libri di alta cucina non so' chi li leggerà.
In momenti di crisi come questo, dove c'è da tirare un po' la cinghia,il cibo diventa subito un in più, superfluo,una cosa di cui si può fare a meno...
I ristoranti sono sempre più vuoti, figuriamoci quelli di cui stiamo parlando...
I "ricchi" che si potrebbero permettere anche adesso di mangiare in certi ristoranti, appena sentono parlare di crisi, scendono dalla barca e vanno a mangiare la pizza a taglio, magari con l'ultimo ipod da 1000 euro in mano.

26 Ago 2008 | ore 18:58

L'unica ipotesi che mi viene in mente è che il grande chef non interessi tanto per ciò che cucina (che solo una micropercentuale di italiani è interessata ad assaggiare) ma in quanto personaggio di successo o almeno che appare ogni tanto su giornali e tv. In effetti molti italiani sono curiosi di sapere cosa fanno e cosa pensano i personaggi famosi - anche se non hanno bene idea di cosa fanno.

Poi di cuochi che si interessano anche di altro e che hanno cose interessanti da dire sicuramente ci sono - come c'è in qualunque altra categoria di professionisti. L'importante è scegliere quelli giusti! ;-)

26 Ago 2008 | ore 19:21

mah, per fortuna vedo intorno a me una generazione di nuovi cuochi che fanno il loro lavoro egregiamente in cucina, partendo dalla materia prima e andando verso la sostanza, utilizzando tutta la tecnica possibile, ma come qualcosa di assodato, di già digerito e non da esibire per far vedere... penso che questo 3d abbia molto a che vedere con quello sul blog cugino sul nuovo concetto del lusso. Adria a kassel ha fatto una ben magra figura, Cracco inneggia dalle televisioni all'acqua minerale, Alajmo da libretti delle istruzioni per i suoi dolci come se questi (già stupendi in se) non bastassero ecc. Beh scusatemi ma ci vedo tanto provincialismo, ingenuità... per me la cucina è una cosa dannatamente seria, ma non è e non sarà mai pittura, letteratura, filosofia o altro, è appunto gastronomia!

26 Ago 2008 | ore 22:00


A dirla molto sinceramente, quell'affirmazione che riporta mi fa tanto 'vorrei' (...dire qualcosa di sensato e preparato sull'argomento 'mondo culinario') ma non posso (perché non è che sia poi tanto preparato e accolturato sulla cosa) - quel 'io' ovviamente non sono né io (figurarsi :-) né lei (ma ari-figurarsi :-)) bensì colui che ha riferito che i cuochi sono i nuovi maîtres à penser. L'affermazione a me mi pare vecchia quanto i sampietrini di campo de' fiori (anzi veramente mi sorprende pure che lei ce la riporti qui), e per un periodo sarà anche stata vera, solo che in questa nostra era post-vissaniana (vissani è morto, viva vissani :-) bisogna proprio avere delle velleità da uovo di colombo o da pronipotino di lapalisse per poter pensare di dire che forse, forse, un domani, i cuochi saranno i nuovo guru... Intanto i cuochi guru lo son già diventati da un pezzo (da marchesi in poi, dovremmo un giorno divertirci a fare il lconto delle pubblicazioni italiane firmate da cuochi...) e a quanto pare ce ne siamo pure un po' scocciati (anzi a quanto pare i cuochi stessi lentamente si scocciano di stre sempe fuori dalle loro cucine e inventare piccoli scoop e altre invenzioni inaudite a ogni nuovo convegno...)
Tornando alla pertinenza del cuoco in materia di editoria-enogastro (il nesso l'ho dedotto io, adesso, muovendomi sulla scia logica delle discussioni precedenti, e anche per via del fatto che sia un operatore dell'editoria ad aver detto che i cuochi ecc), perché questa mia cattiveria nei confronti della categoria? (badi bene, non è verso la categoria in sé bensì verso il cuoco globale simbolo di eccellenza in campo gastro-editoriale, sottolineando 'in campo ecc')... Ma perché un cuoco è pur sempre un cuoco, diommio! :-) Cioè:
un persona abituata a lavorare diversamente che a casa, una persona che ha a disposizione una linea, una squadra, degli attrezzi professionali, delle materie che non sono quelle del supermercati (il cuoco non va al supermercato, non vi pare strano, voglio dire, per qualcuno che deve parlare con gente che al supermercato ci deve andare?), ha ritmi e conoscenze che non c'entrano con la casa e ciò che è la cucina di casa, e via di questo passo. Insomma per me il cuoco molto spesso ha abbastanza perso il contatto con quel mondo al quale dovrebbe insegnare la cucina (il mondo delle casalinghe, quelle sfigate che non hanno il rational né l'induzione, né l'essicatore e manco un stupido sifone o un pacojet, nada, non so se mi spiego? anzi, paggio ancora, magari sono anche un filo pigre, le casalinghe, e non hanno tanto tempo per cercare ingredienti strambi, e magari sono pure un filo ermetiche alle novità struggenti, e magari vogliono delle proposte che siano anche rassicuranti ecc ecc ). Un po' come dire che schumacker momo' vi viene a insegnare come guidare in previsione di ottenere la patente... In finis, entrano in conto, secondo me, anche la non poca suscettibilità/permalosità/senso di competizione coi colleghi, che sono altrettanto fattori che possono ostacolare una buona sana e semplice comunicazione all'attenzione delle non professioniste.
Per tutti questi motivi io vedo veramente difficile l'avvenimenti di un cuoco italiano capace di sedurre la signora casalinga di voghera (perché è quella che si tratta di sedurre e di aiutare in cucina, mica noi che siamo due tre fighetti capaci che ti ci innamoriamo di rare chicche fiche e ricercate, nononono, l'editoria gastronomica, con i suoi costi e le difficoltà proprie a tutto il campo editoriale, deve passare dal grande pubblico, il tutto è di vedere con quanto stile uno lo riesce a fare :-) Insomma, per me, fare il cuoco non è lo stesso che 'scrivere libri', 'parlare a un pubblico', o comunicare in genere, saper cucinare non vuol dire che si è capaci anche di insegnare, di trasmettere (a un grande pubblico, non prendo in considerazione l'apprezzamento dei colleghi & co), e sopratutto penso che la cucina del ristorante non ha quasi nulla a che vedere con la cucina di casa, anche se il primo di sicuro puà contribire a migliorare il secondo. Un esempio per tutti? Ricordo di aver asisstito a una lezione di beck in cui pieghò come confezionare dei ravioli dal centro liquido : Bellissimi e buonissimi, e assolutamente per nulla replicabili a casa (tutt'al più qualche cuoco mancato e ossessionato di avanguardia e meticolosità culinaria potrebbe averci riprovato, ma non è quel gastro-trippato su venti persone normali che dovrebbe costituire il target della faccenda.
(ps: giusto per chiarezza: io non pretendo che nessun cuoco sarebbe capace di parlare al grande pubblico in modo semplice, utile e comprensibile, mantenendo nonostante tutto qua e la qualche tocco geniale o qualche trucchetto utile nelle cucine di casa, ma secondo me, semmai, quelli capaci sono davvero pochi, a prescindere poi che suppongo che il cuoco abbia anche del'altro da fare, nella vita, che scrivere opere di divulgazione, e quindi, ecco, a me quella lì sembra una gran bella generalizzazione, neanche tanto intelligente, a dirla tutta :-)

26 Ago 2008 | ore 22:48

penso che come in tutte le attività soprtutto creative la troppa esposizione mediatica alla lunga sia dannosa. Il problema e che non si sà mai quando è giunto fermassi forse certa televisione dovrebbe lasciar dialogare mezzi più idonei e adatti io amo molto di più la carta stampata !
non dico sia colpa dei massmedia in effetti certi chef potrebbero fare scelte differenti per parlare della oro arte in cucina ...in alcuni casi spaventano solamente il pubblico e spesso il target di riferimento non ritiene più elitario un certo modo di fare...federico congustoblog.it

26 Ago 2008 | ore 23:59

Devo dire che non ho ancora ben riflettuto sui propositi del grande editore riguardo ai cuochi.
Ma dico come la vedo io.
Dunque io prendo il cuoco, si dà per scontato che sia preparato, bravo e fuori dalla media, ultra-bravo.
Dunque prendo questo cuoco e gli metto addosso una brava, che sa cucinare ed è anche giornalista - non di tesserino ma nello spirito - e gli sminuzzo ricetta dopo ricetta, le scarnifico, porto la voce dei normali cuochi di casa nella cucina del grande cuoco e gli chiedo ragione, perché, come e quando e ancora e ancora e il risultato deve-dovrebbe essere il racconto di una cucina intelligente, magari geniale e virata per gli umani grazie alla mediazione di questa una - attenzione è donna non uomo - .
Forse non ci si riesce ma ho in mente le lunghe chiacchierate col mio amico Fulvio e come ogni minimo dettaglio di ogni piatto veniva da lui analizzato, scelto o scartato.
Ma perché questo magnifico patrimonio non potrebbe essere tradotto, messo a disposizione degli appassionati.
Comunque credo che il grande editore faccia tutt'altro ma per fortuna non è un mio problema.
O forse si, se quei libri andranno male...

27 Ago 2008 | ore 01:31

Ma se "in Italia non c'è cultura enogastronomica" e se "la cucina è una cosa maledettamente seria", mi chiedo cosa impedisce di ascoltare un cuoco raccontare di sè e del suo lavoro. Mi sembra di leggere uno snobismo evidente, elitario, altra faccia della medaglia dello snobismo caciarone figlio della moda dell'apparire, del vedere e farsi vedere, basta mangiare. Io vado ad ascoltare Cracco come se andassi a un concerto, mi potrà interessare come no, ma smettiamola di distinguere, di fare paragoni: anche nella cucina ci sono teste, menti geniali che hanno colto e fotografato il loro tempo, con assoluta valenza culturale e sociale.

27 Ago 2008 | ore 01:49

Secondo me, il concetto è: ma a chi interessa quello che scrive un cuoco? A chi cambia la vita? C'è un mercato ricettivo? A me non pare, e le varie edizioni di libri del genere prodotte dal Gambero Rosso, mi sembra lo dimostrino, visto che appaiono abbandonate e proposte con supersconti alla CdG.
Anche perché spesso, questi cuochi, non hanno un background culturale in grado di affascinare, non affabulano, non scrivono bene. Mille altri personaggi potrebbero fare altrettanto, perfino nella Pubblica Amministrazione. Il loro ruolo sociale è cucinare, perché la gente dovrebbe interessarsi a qualcosa di "oltre" il personaggio, anche se ci fosse il più grande uomo di questo mondo? Fa il cuoco, basta. Lo facesse bene, con continuità soprattutto, piuttosto che scrivere e mollare appena si senta appena un po' arrivato. La promozione enogastronomica, secondo me, si fa in altro modo. I libri dei cuochi sono l'ultimo dei fatti trainanti, per il grande pubblico.

27 Ago 2008 | ore 02:13

Salve, scrivo dalla Francia, è qui c'è un altra cultura per i libri. Ci sono tanti appassionati come me che acquistano libri di grandi chef per piacere, provare qualche piatto, una salsa, una cottura ecc ecc.. ci sono tanti libri interessanti come il libro di Piège del Crillon di Parigi dove meta' del libro ci sino le ricette stellato del ristorante, è l'altra meta' le ricette della cucina che lui fa a casa. Altri libri interessanti sono quelli della scuola di Ducasse, che si chimamano lezioni dove le ricette sono fotografate passo per passo è ed impossibile sbagliare se si ha un minimo di motivazione. Qui si aspetta sempre che esca l'ultimo libro di pasticceria, si va a fare corsi alla scula del cioccolato Valrhona, delle volte i corsi sono pieni 6 mesi prima.. qui c'è un altra cultura dei libri è della cucina.
saluti
Gregory

27 Ago 2008 | ore 08:46

Mi do da solo una possibilità di riscatto visto che sono stato davvero insopportabilmente lungo nell'ultimo intervento :-)
Continuo a vederla difficile, sostanzialmente per una questione di mercato. Cioè, credo che il nocciolo della questione sia di individuare per chi si scrivono i libri di ricette, ed è qui il punto doloso: il mercato italiano non assomiglia, purtroppo, per niente a quello francese, gli appassionati puri e duri sono pochi, e quindi scegliere di pubblicare solo per loro è un modo per confinarsi in un ghetto non proprio raccomandabile. I libri che vendono non sono di certo quelli da nicchia - lo dice la parola stessa - ma quelli che sono abbordabili, che s'indirizzano a un largo pubblico, semplici e utili, di costo contenuto (e per tutti questi motivi sono anche molto spesso fatti più o meno coi piedi, nel migliore dei casi sono tradotti dall'estero). Io penso quindi, e forse sbaglio ma intanto lo penso, che servano proposte abbastanza umili da non apparire ermetiche e inaccessibili, serve interessarsi alla cucina del quotidiano, fatta di ingredienti semplici, tecniche più o meno rudimentali e veloci, spiegate in modo rassicurante. Detto così sembra scemo ma credo che la apparente semplicità sia una specie di cavallo di troia, e se uno guarda all'estero, prendendo a caso uno come jamie oliver, si accorge che il meccanismo è proprio quello: un personaggio simpatico (è un cuoco jamie oliver? boh??) che propone cose semplici e in questo modo, con intelligenza, pian pianino suscita interesse, nel soggetto cucinante, per la cucina del mondo, per i sapori nuovi, bricioline tecniche in grado di migliorare la propria cucina, insomma induce una crescita culturale gastronomica. Per me qui da noi serve qualcosa di questo tipo, una figura di mediatore se vogliamo. E mentre altrove hanno i vari jamie, nigella, julie, trish & co che malgrado la loro 'rozzezza' di non-cuochi hanno davvero smosso qualcosa nel modo che ha il grande pubblico di guardare alla cucina in generale, qui non è di certo la povera clerici ad aver portato il popolo verso orizzonti culinari migliori. Sui cuochi in genere invece mantengo le riserve espresse sopra, aggiungendo che si va bene voler far 'mediare' la cucina dei cuochi però questo vuol anche dire che quel mediatore - o quella mediatrice - deve sostanzialmente cambiare, digerire e riformulare la cucina del cuoco e che non è detto che questo passaggio possa compiersi senza attriti (provate un po' voi a mettervi nella cucina di un cuoco famoso e dirgli cosa dovrebbe o non fare, vorrei vede'). Il direttore accenna a pierangelini e ricordo il supplemento pasquale che in effetti era esemplare, con ricette molto molto abbordabili e insieme interessanti e per nulla snob, perfette per una cucina di casa, è vero. Però, purtroppo e per fortuna, come pierangelini quanti ce ne sono? :-)

27 Ago 2008 | ore 09:15

ps: l'intento era buono, giuro, ma evidentemente c'è poco da fa', dev'essere un periodo di irrefrenabile loggorea, mi scuso...:-))

27 Ago 2008 | ore 09:21

Per Oliva - molto interessante il tuo post. Per quanto riguarda Jamie Olvier è un bravissimo chef è i suoi libri molto interessanti con ricette abbastanza facili. E incredibile che un inglese abbia "insegnato" a milioni di persone nel mondo a fare la pasta in casa è la focaccia ma cosi è la realta'.. è lui che mi ha dato voglia di fare tante cose perche' è simpatico, ha un modo garbato è simpatico è le sue ricette sono frizzanti con accenti italiani. Saluti
Gregory

27 Ago 2008 | ore 09:21

E' vero, qui da noi c'è un'altra cultura rispetto alla cucina e ai cuochi.
Sembra un po' come per il calcio, tutti si sentono esperti ma in realtà c'è un'incultura di fondo.
I libri dei grandi pasticceri francesi sono belli, indispensabili per chiunque voglia andare oltre e molto venduti.
Da noi non ci sono quasi pasticceri, da noi c'è solamente "il cuoco", più o meno famoso, e su di lui chiunque può emettere il suo giudizio salvo poi scoprire che quasi nessuno lo conosce perché non l'ha mai visto all'opera.
Da noi non vendono i libri dei cuochi - ma il primo di Sadler ha venduto 50.000 copie e Allan Bay ne ha vendute 150.000 - non vendono i libri di fotografia, non vendono i fumetti però "Le barzellette di Totti" hanno venduto 1.500.000 copie perché il nostro è uno strano e difficile mercato.

27 Ago 2008 | ore 09:23

Comincio a dubitare del fatto che i grandi chef interessino sempre alla solita cricca.
Il 14 agosto, a cena da Uliassi, ristorante ultra-pieno: credo che a guardare nel piatto fossimo io e qualche altro avventore, la maggior parte era lì perchè fa figo, perchè è il ristorante del momento. Ho la sensazione che la gastronomia sia più di moda di quanto si pensi.

27 Ago 2008 | ore 09:38

In effetti...nelle librerie francesi ho visto un sacco di libri belllissimi. Loro però come gli inglesi e gli spagnoli già sono avvantaggiati grazie al potenziale pubblico molto più vasto. In più, ho visto molta gente che usciva con borsate straripanti di libri, cosa che qui capita rarissimamente.

27 Ago 2008 | ore 09:40

Colgo al volo l'osservazione di rob78 per dire che dobbiamo afferrare strumentalmente il momento, cioè il fatto che i cuochi sono di moda, per provare a cambiare il modo di fare i libri.
Quello che dice oliva è interessante e penso sia una parte del nuovo: piatti semplici, tecniche chiare per incominciare e poi, passo dopo passo si cresce.
Ho il sospetto che il grande editore imboccherà strade come questa e non certo quelle dei libri leccati, fichi un casino, costosi e che non acquista nessuno.
Il nuovo ci aspetta e comunque io sarò lì, col nuovo :-))

27 Ago 2008 | ore 09:46

Per Zanzara e Oliva
ma perchè uno deve fare il cuoco e basta? Zitto, ai fornelli! In fondo si tratta solo di mangiare, cioè un bisogno primario, cosa vuoi stare a discutere! No, questo è snobismo, puzza sotto il naso. Vai a sentire una conferenza di Adrià, ascolta Marchesi , leggi (l'ormai pietra miliare e mai troppo lodato supplemento pasquale del Gambero) Pierangelini, e non mi venite a dire che non c'è materia per capire, imparare, discutere e non solo di cucina. E con l'editoria si potrebbe seguire questa linea: storie, dettagli, motivi, idee e non le solite ricette con foto di repertorio. Piuttosto non capisco perchè i libri di cucina costano mediamente tanto.
Per Rob78
Capisco, e cavolo mi urta un po' che Uliassi faccia moda (meglio per lui, ovviamente). Se può consolare (o far rabbrividire) a Ferragosto a pranzo a El Bulli (ci sono stato a scuriosare, non a mangiare) c'era una Ferrari targata Andorra, cafonamente lasciata in mezzo al parcheggio, tanto da far risuonare tra l'irreprensibile personale il fatidico c'è da spostare una macchina: e lui, il brizzolato, con occhialoni da sole è uscito e l'ha spostata. Chissà se portava gli occhialoni anche a tavola.

27 Ago 2008 | ore 10:05

Continua a sembrarmi strano che sia contemporaneamente vero che "i grandi cuochi sono di moda" e "la gente non spende per andare al ristorante e non ha tempo per cucinare".
Ma fa lo stesso, tanto io ho la fortuna di poter stare ad aspettare e vedere che succede. :-)

p.s. @alessandro bocchetti in che senso Adrià avrebbe fatto un figuraccia a Kassel? Io ho letto qualche racconto qua e là ma non ho colto niente del genere.

27 Ago 2008 | ore 10:20

@Bonilli, post delle 0946: soprattutto se a far da contraltare ai "libri leccati, fichi un casino, costosi e che non acquista nessuno" c'è la rete *a gratis".
aggiungo per soprammercato che forse "i libri" non è il solo luogo dove i grandi cuochi posso dire la loro. Provocatoriamente (e, lo so, non troppo realisticamente): spendereste più volentieri 50€ per un libro o 10€ all'anno per abbonarsi a un sito gestito da un grande cuoco dove periodicamente arrivano ricette nuove, tecniche nuove eccetera?

27 Ago 2008 | ore 10:23

@stefano caffarri: la rete aggratis però secondo me fa da contraltare ai librettini anonimi, con ricette come un milione di altre ricette non ai libri fichi e costosi; quelli si comprano perché sono oggetti belli da avere; il problema è interessano solo la piccolissima percentuale di italiani che ama avere una libreria in casa e metterci libri fichi anche se costosi.
Risposta alla domanda: io per adesso sono per internet gratis, spendere solo per libri (o dischi ecc).

27 Ago 2008 | ore 10:38

Mi aggancio all'ultimo intervento di oliva e parto da Jamie Oliver, che è diventato un caso paradigmatico. Uno come lui in Italia non sarebbe stato possibile, trasmissioni come le sue in Italia non sarebbero state possibili. In Inghilterra si parte da una verità rivelata ed accettata: quasi nessuno sa cucinare e se esiste una tradizione, questa afferisce alle classi più abbienti. Ci sono lacerti di cucine regionali, brandelli di cucine popolari, ridotti e misconosciuti "giacimenti gastonomici". In questo contesto da tabula rasa lo chef comunicatore o il sempilce comunicatore più o meno intriso di cultura culinaria ha vita più facile ed orizzonti espressivi più allargati. Nessuno lo giudica con la severità e la supponenza che il pubblico italiano utilizza o utilizzerebbe nei confronti di un pari ruolo (come ha detto il direttore siamo un polo di commissari tecnici anche per pasta e risotti...) e viene garantita al Jamie o alla Nigella di turno una fiducia assoluta, che poi determina anche il taglio delle trasmissioni. Lì non ci sono diaframmi tra gli spettatori e lo chef comunicatore. Da noi invece il cuoco, con la parziale eccezione di Vissani (discorso lungo), viene mediato dalla Clerici, da Bigazzi e da quant'altri, come se gli si negasse una dimensione da protagonista. Questo determina un differente sviluppo di codici comunicativi (altro discorso lungo...).

27 Ago 2008 | ore 11:30

D'accordo con Marco G: il cuoco è relegato, col suo cappellone, in un angolo, davanti alla sua padella senza possibilità di uscire dallo stereotipi. Tanto, cosa vuoi che abbia da dire oltre a come cuocere le tagliatelle di nonna Pina, o a fare giuggioloneggiare Vespa? Invece, siccome credo che la cucina sia specchio dei tempi, credo sia interessante sentirli o leggerli con le loro storie, le loro tecniche, le loro preferenze, i loro segreti, senza la necessità di deragliare, come fa spesso Vissani: come si fa con un attore, un regista, un musicista che abbia qualcosa da dire. E' ovvio che tutto dipende anche da cosa si dice, chi ti intervista, il contesto e tutti gli ingredienti che rendono un lavoro, un libro, una trasmissione migliore di un'altra.
Quanto a Oliver, vorrei vedere in Italia come sarebbe preso uno che versa olii vari, spezie assortite in una insalata e la mescola generosamente con le mani: nessun problema, è bravo, ma sarebbe subito etichettato come un eccentrico, non come un cuoco.

27 Ago 2008 | ore 13:08

Una sorta di versione italiana di Oliver è Simone Rugiati, che è carino, ipercinetico e disinvolto davanti alle telecamere, un pò cuoco (pure preparato) ed una popstar in fieri, capace di comunicare anche ad un pubblico giovane, spesso non interessato al o spaventato dal mondo della cucina. Però i suoi spazi hanno potuto articolarsi così come li vediamo solo su un canale tematico; sulle reti Rai o su quelle Mediaset una simile libertà di azione e di espressione credo che sarebbe limitata o filtrata, per le ragioni di cui sopra. C'è un'altro paradosso: Gregory ha scritto che è incredibile che ad insegnare al pubblico di mezzo mondo a fare la focaccia (genovese, spero) o la pasta fresca sia un paffuto ragazzotto inglese che corre e scivola nella cucina di casa o sul palco di un teatro come avesse i pattini. Beh, molti dei grandi cuochi italiani temo non vogliano cimentarsi con i piatti della tradizione o della cucina domestica perché rischierebbero il massacro mediatico, considerato, come già detto, che tutti in Italia hanno un dogma di riferimento e sono depositari di verità assolute ed incontrovertibili quando si entra in quegli ambiti di cultura culinaria. Sarebbe invece divertente ed istruttivo che uno dei nostri grandi chef venisse fatto galoppare a briglia sciolta anche nei territori della cucina di tutti i giorni e partisse da quei saperi "basici" per poi condurre i comuni mortali, non più intimoriti e tenuti a distanza, nell'iperuranio della cucina di ricerca, creativa, sofisticata, di rivisitazione ecc. ecc.

27 Ago 2008 | ore 13:42

Anna fa' il Gambero Rosso ha pubblicato un libro a mio parere molto bello oltre che utile. "La cucina di casa di un grande chef" dove Guy Savoy racconta, in maniera chiara, non la cucina del suo ristorante ma quella della sua famiglia. Ovviamente è una cucina di casa francese e quindi Blanquette di vitello, Costata di manzo con salsa béarnaise, Maccheroni al gratin, Gratin provenzale, Crème brulée eccetera. Le ho provate quasi tutte queste ricette sempre con successo.
Ecco io vorrei che un grande chef italiano si cimentasse in questo, che mi raccontasse come lui, nella cucina di casa e non in quella del ristorante, prepara il pollo arrosto con le patate, la gallina bollita o la frittura di pesce. Quasi certamente troveremmo in queste ricette quel qualcosa in più, quel "trucco" particolare, il tocco da maestro riproducibile anche a casa nostra, nella nostra cucina normale priva di abbattitore di temperatura, di paco jet e di forno mega galattico. Altrimenti i libri degli chef rimangono nella libreria a fare mostra di sé, da leggere come si fa con la favole e del tutto inutili se non per guardare le immagini quasi sempre bellissime.

27 Ago 2008 | ore 14:37

E se fossero maitre a ... pranzer?

27 Ago 2008 | ore 14:38

o... maîtres à penser come correttamente scrive oliva!?
;-))

27 Ago 2008 | ore 14:42

marcog: dire che simone ruggieri è il jamie oliver che ci siamo meritati noi è tanto crudele, ma mi pare giusto :-)) (tranne forse che la versione nostrana è meno simpatica, più a tirarsela e di dubbio gusto culinare - secondo me :-P), mahvabbe... ps: e comunque secondo me non è vero che non poteva emergere un personaggio bello in italia, il problema è che nessuna (parlo di tv e editoria) ha avuto la competenza, la voglia, la cultura, o la lungimiranza per crearlo... (si è invece 'creato' ruggieri, che sinceramente, fa pena... )

fabrizio: a proposito dei cuochi, ho già detto ciò che ne pensavo, vedi sopra, per me fare la cucina di ristorante e fare e insegnare la cucina di casa sono due cose diametralmente opposte, penso che noi qui, discutendo di editoria gastronomica, dobbiamo cercare di coltivare la seconda. Che poi i cuochi abbiano voglia delle luci, della scena, delle paillettes ecc, va benissimo, ma per quello hanno già i loro congressi :-)))) Scherzo: certo, se cracco non fosse così terribilmente antipatico non ci sarebbe nessun motivo per non andare ad ascoltare cracco in congferenza, figuriamoci, solo che, ripeto, io qui stavo cercando di ragionare di libri di cucina per un grande pubblico... (che per caso fai il cuoco? :-))

ps a fabrizio: i libri di cucina fatti un minimo bene costano perché ci lavora una redazione, un paio di cuochi a testare le ricette e a realizzarle per la fotografia, poi serve un fotografo, qalche assistente, uno stylista, un paio di grafici bravi, della carta buona, una stampa di qualità e via dicendo di questo passo, quando hai finito di retribuire tutta sta marea di gente (la gente poi è strana, più è brava e più soldi vuole per lavorare), hai ancora da lasciare metà del tuo prezzo di copertina al distributore, ecc ecc. In versione noiantri la filiera si accorcia a piacere: si riciclano foto anonime a pochi euri prese da banche dati giganti, si racimolano ricette prese a destra e a manco senza manco testarle, si rileggono male (trovato, questo estate, la seguente voce, ricorrente, in un libro di ricette napoletane già aggredito in precedenza: ' 1 bustina di pan degli angeli'.... sic!?), e in finis si compila una roba a poco costo e perfettamente scadente a livello qualitativo. Il prezzo quindi dovrebbe essere si una discriminante, ma positiva.

27 Ago 2008 | ore 14:55

Purtroppo, e meno male, il cuoco va di moda e capita che alcuni locali fighi sono pieni di persone che vogliono mettersi in mostra.
Capita così che l'ingegnere edile si metta a dare consigli al cuoco di come migliorarsi, o che l'assessore all'urbanistica ti chieda di decantargli un bianco del 2007.
Comunque sia la moda genera mostri, ed incrementa i fatturati.
E' vero che noi italiani siamo molto diversi da inglesi e francesi, spendiamo pochissimo per i libri di narrativa etc., speriamo che i volumi dei cuochi scrittori portino l'italiano a leggere di più.
Come sperianmo che l'uscita di pubblicazioni serie dia nuova linfa vitale al settore ed agli appassionati.

27 Ago 2008 | ore 15:02

Se per caso qualcuno aveva dubbi sul fatto che un cuoco italiano appena transita sotto i riflettori viene immediatamente triturato dall'occhio critico del pubblico... :-)))

27 Ago 2008 | ore 15:03

"speriamo che i volumi dei cuochi scrittori portino l'italiano a leggere di più"

Caro Massimiliano, ci liberi da questo dubbio atroce, stava ironizzando vero?

ps: A diretto', ma doucasse si scrive mica così! :-))

27 Ago 2008 | ore 15:07

a mio avviso i cosiddetti "manuali da cucina" vengono ancora largamente scopiazzati da quelli del passato. ma, se un tempo erano comprensibili perchè esisteva una cultura di base che permetteva di capire cosa volessero dire termini quali sobollire, setacciare, stufare, marinare, adesso tale conoscenza non è più scontata. quindi tali manuali sarebbero da ripensare, amplificando enormemente la sezione "tecniche di base".

i libri fichi, invece, esistono e sono da prendere. costano molto, come quelli d'arte. però non stancano mai. comunque 80€ è un pieno di benzina e dura molto meno :-)

27 Ago 2008 | ore 15:11

A quanto pare l'argomento stuzzica!! :), almeno da queste parti vedo c'è un po' di fermento...
Cmq le partecipazioni televise o editoriali sono sempre indirettamente proporzionali alla presenza dello chef in cucina.., e questo non è bello.

27 Ago 2008 | ore 15:31

Da un lato sono contento perché vedo che l'argomento interessa, dall'altro ne colgo tutte le difficoltà perché, come dice il mio amico oliva, in Italia Oliver è Ruggiati e poiché io l'ho conosciuto e preso al canale Gambero Rosso alcuni anni fa posso dire che lui si è bruciato facendosi prendere dalla smania di protagonismo, le consulenze per Cavalli e la convinzione di essere bravo come l'inglese.
Ma tornando ai libri, io sono convinto che si possa fare editoria diversa, per tutti e di qualità se la squadra che lavora ai nuovi libri di ricette-vere è formidabile.
Non si vincono le coppe, i festival o le prime della Scala se non si ha a disposizione una squadra di talento e quindi il discorso inizia proprio di qui, inizia nella cucina dove si preparano le ricette per il nuovo libro di cui tutti stiamo favoleggiando.
Ci sarà qualcuno che riuscirà a passare dai bei propositi ai fatti?

27 Ago 2008 | ore 16:09

Oltre a dover essere provate, corrette, riprovate - e su questo punto concordo che in cucina bisogna starci un casino - poi le ricette vanno scritte. Questo non è per niente un passaggio banale. Assimilati i passaggi tecnici e messi a fuoco gli ingredenti ecco che si deve affrontare il momento della stesura. Chi ha provato sa che, quello che potrebbe sembrare l'ultimo dei problemi, si trasforma in un piccolo incubo. Primo perchè non puoi scrivere un poema, secondo perchè devi dare precise indicazioni sulle tecniche generali e sui passaggi tecnici particolari indispensabili alla riuscita del piatto. Devi invogliare il lettore, raccontare, formare, oggettivizzare in poche righe senza essere pedante. Non è per niente semplice. Poi, giusto per complicare un pò le cose, la ricetta non è mai fine a se stessa. Per quanto mi riguarda è un formidabile grimaldello, una sorta di passepartout, che può rinviare ad approfondimenti, lanciare temi diversi e curiosità trasversali, far entrare il lettore in contatto con una seconda dimensione, non meno interessante del puro obiettivo legato alla realizzabilità della stessa.

27 Ago 2008 | ore 16:41

Mi smaschero :-)
Considero le ricette "un pretesto" per parlare del mondo.
Non equivocate, le ricette sono quello che ha appena detto Fassone, quello che dice oliva e quello che fa la mia autrice prediletta, cioè Annalisa Barbagli.
Ma le ricette sono anche il nostro vivere quotidiano, la gioia, la festa, il giorno per giorno ma, se si è bravi, mai la routine.
Ecco, le ricette come paradigma del mondo, della vita ma spiegata bene, passo dopo passo :-))

27 Ago 2008 | ore 16:48

Direttore, attendo il numero di settembre del Gambero per leggere della giornata intera trascorsa con Ferran Adrià e le sua brigata, e di quella trascorsa coi fratelli Roca al Celler: probabilmente, per stimoli, storie, dilemma tra innovazione e tradizione, quei reportages, per di più fotografati da Sigrid Verbert, potranno rappresentare, spero in modo ampio e senza limiti di pagine, quanto la cucina, gli chef (non solo quelli citati, ovviamente), i loro collaboratori e le loro ricette, rappresentino l'evoluzione del gusto, le nuove sensibilità, i diversi modi di vivere e di divertirsi. Insomma vere e proprie storie. Sarà forse quel Gambero una ulteriore evoluzione dell'inserto pasquale con Pierangelini ( a proposito quante storie dietro una spesa al mercato), fino a diventare non più solo un magazine , ma qualcosa che si avvicina ad un libro?

27 Ago 2008 | ore 17:14

vogliamo fare un esempio chiaro chiaro: IL PRANZO DELLA DOMENICA di Annalisa Barbagli è esattamente quello che intendo io. Un libro di ricette vere, organizzato in maniera intelligente, con un tema culturale e sociale bello, fruibile come singole ricette e/o organizzato a menù per le domeniche dei vari mesi dell'anno (in maniera di fare anche cultura relativamente alla stagionalità dei prodotti) e in occasione delle festività più importanti. Inoltre ci sono passaggi tecnici che risolvono un sacco dei comuni disastri che possono succedere in cucina. Ecco, serve questo. Uno deve comprarsi un libro di ricette e a secondo dei suoi interessi e della sua cultura trovarci ricette, spunti trasversali, approfondimenti. Deve poter intercettare dei temi che lo portino a vedere il lavoro in cucina con occhi nuovi e diversi. Esagerando, ma non troppo, richiamo il NOME DELLA ROSA di Umberto Eco. Chi ha voglia di leggersi un romanzo trova un romanzo, chi è appasionato anche di storia trova elementi storici interessani, chi è appassionato della lingua latina trova spunti importanti, chi è appassionato di semiotica trova rivelazioni anche in questa direzione. Però è un romanzo.

27 Ago 2008 | ore 17:25

@Fassone
Gira e mescola si potrebbero pure evincere analogie con Cent’anni di solitudine di G.Garcia Marquez...

27 Ago 2008 | ore 19:35

Ecco quest'idea della trasversalità (o come diavolo si dovrebbe chiamare?) a me piace molto. Qualcosa che vada oltre la ricetta vera e propria. Però mi sa che per soddisfare i miei gusti si andrebbe verso cose con tante illustrazioni e foto, testi precisi e dettagliati nelle spiegazioni e agganci a storie che vanno oltre la ricetta. Nel "Pranzo della domenica" io però non ricordo tutte quelle cose che ci ha trovato Fabio Fassone. E' un libro carino, ma...io evidentemente ho bisogno di spunti più espliciti o forse ancora più dettagliati (o forse più immagini? Mi sa però che cosiì facendo si va verso il costoso...ma se bonilli ha già detto che quel genere di libroni non li compra nessuno ho capito che l'editoria italiana invece se ne andrà da un'altra parte! :-(

27 Ago 2008 | ore 21:47

... e noi andremo a vedere dove finirà la nuova editoria gastronomica :-))

28 Ago 2008 | ore 01:59

Ci siamo, in un paese dove tutti sono ct, anche La Gazzetta dello sport esce con allegato il suo libricino di ricette.
A quanto le ricette di Play Boy?

28 Ago 2008 | ore 08:54

massimiliano sepe, il commento ironico l'hai scritto apposta su questo blog oppure non hai fatto caso a chi pubblica i libricini? :-)))
Oh...avrà come target il single, oppure l'uomo che va dal giornalaio e già che c'è prende anche un libro sperando che la fidanzata/moglie/compagna impari a cucinare meglio.

E le ricette presentate dalle congliette vuoi dirmi che non vi piacerebbero? :-D

28 Ago 2008 | ore 09:38

Le ricette della Gazzetta sono lavoro.
Loro vengono da noi e ti danno una commessa, noi sbrighiamo la pratica.
Piuttosto il fatto che anche loro diano libri di ricette e che lunedì prossimo Repubblica dia e per la quarta volta negli ultimi anni le ricette dà forza al discorso degli archivi, delle ricette ripetute, della mancanza di un vero lavoro testuale e fotografico sul tema.
Perché? Le ricette della Gazzetta sono di archivio, penso siano quelle che il gruppo Rcs ha fatto uscire nel 2004 e 2005 con il Corriere della sera e quelle di Repubblica saranno ne più e ne meno quelle già pubblicate dal quotidiano negli anni precedenti e impacchettate-impaginate in modo diverso.
Idem per le foto :-(

28 Ago 2008 | ore 09:55

Dopo questa spiegazione, tutto mi è molto meno chiaro di prima. :-)))
Se le ricette della Gazzetta sono di archivio -le foto l'avevo notato sfogliando ho visto che sono di agenzia e mi chiedevo come mai,ora capisco - il Gambero Rosso che pratiche sbriga?
Oh a questo punto mi avete messo la curiosità!

Anche più interessante sarebbe interessante un'indagine su quanti libri di ricette abbiamo in casa e quanti di quelli utilizziamo realmente, quali apprezziamo e quali no e perché. Io di libri ne ho una caterva...perché uno regalato, l'altro carino, l'altro gratis, l'altro in offerta, l'altro usato costa così poco, l'altro sembra carino, l'altro recuperato a casa di parenti...ma ne uso sempre solo 3 o 4!

28 Ago 2008 | ore 10:36

Probabile che le solite vecchie ricette, siano presentate secondo gusti attuali, e quindi foto più colorate, avanti con finger food, insalate, bicchierini e soprattutto poca spesa. Questo per dire che le ricette seguono i tempi, i bisogni e i gusti del pubblico.
Come tali, chi le propone, il cuoco, deve a sua volta essere ben sintonizzato con quanto gli accade intorno: e questo vale per Adrià, per lo Zazzeri, per la signora che propone i tortellini nel lambrusco. Ecco che la cucina diventa punto di incontro delle nostre ansie, delle nostre convinzioni, delle nostre aspettative, del nostro divertimento. Dal cuoco di provincia, ma attento, al grande chef si crea un corto circuito che segna una strada, una condivisione, una verifica nel pubblico, nè più nè meno di quanto accade con altre forme di "arte" come il cinema, la letteratura, la moda.
Seguire i cuochi attraverso i loro menu permette di mettere a fuoco certi nostri fastidi, certe nostre aspettative o piaceri di appassionati: bene se i menu si degustano, ma bene anche leggere e ascoltare i cuochi che ci mettono al corrente delle loro sensazioni e delle loro idee. Ovvio che per apprezzare tutto questo ci vuole un po' di capacità oratoria (non so Cracco, ma Scabin è un istrione, a suo modo anche Vissani), oppure giornalisti e fotografi che lo seguono, lo assecondano, lo raccontano, anche partendo da lontano, indipendentemente dalle ricette, che secondo me sono semplice corollario, contrappunto necessario per spiegare e capire. Oppure cogliendo piccoli particolari di una atmosfera che dà l'idea: in questo senso vedere una foto della Vebert che ritrae tre ragazzi ( a proposito avete notato quanti giovani ci sono nelle grandi cucine e nei grandi ristoranti del mondo?) sugli scogli di Cala Montjoi, sotto El Bulli, che magiano una fetta di anguria sul mare in un momento di pausa.

28 Ago 2008 | ore 10:38

Aggiungo sulle ricette: i libri di ricette, intese come elenco, come manuale da mettere in pratica, non servono più: c'è la rete, ci sono i blog, ognuno dopo poco tempo, dopo aver trovato due, tre blog o siti affidabili, prendendo di qua e di là, il libro di ricette se lo fa da solo. Anche tenendo conto del fatto che molte delle ricette sui blog provengono al loro volta da pubblicazioni del settore.

28 Ago 2008 | ore 10:43

sarà...ma intanto in TV vanno le maestre d'asilo della Nestlè a dire che il formaggino mio fa crescere sani e forti i bambini e negli asili, quelli veri, le mamme comprano il brodo di verdura in farmacia e non sanno con quali verdure viene fatto...

28 Ago 2008 | ore 10:55

Bé le pubblicità hanno sempre cercato di rifilarti i loro prodotti, non è una novità!

Invece uh le ricette in rete! Se uno si trova quella manciata di blog e individui seri come punti di riferimento occhei si trovano cose molto interessanti a volte più dei libri. Ma quando cerchi su Google non sai se ridere o piangere: su molti frequentatissimi forum così come l'ancora più spettacolare "Yahoo!Answers" si legge di tutto. Ieri ho visto alcune madame esaltate dell' ottimo pangasio che definivano "come la trota ma più magro e dal prezzo molto conveniente". Sinceramente io qualche dubbio sulla qualità del pesce del Mekong ce l'avrei, invece molte entusiaste ricettare del web no(come ulteriore spunto sul fatto che effettivamente ci sono ricette e ricette!)

28 Ago 2008 | ore 10:59

@GUMBO
non è il Gambero Rosso che pubblica i libri di ricette della gazzetta...bensì RCS. Il Gambero però ci mette il "bollino rosso"...e i "bollini rossi" hanno un costo, sono una marketta. Tutto li. Detto questo mi pare evidente che il nostro Direttore fa altri discorsi ed è interessato a ben altre cose.
@BUSO
gira e mescola nella letteratura classica e contemporanea di esempi così c'è strapieno. A partire dalla Bibbia in poi... :-)))))))))))

28 Ago 2008 | ore 11:23

@bacco, mi sembra assai più grave che Cracco veicoli il messaggio che la pasta vada bollita nell'acqua minerale... e poi arrivano i giovani chef a fare i colloqui e chiedono se il bollipasta è caricato a evian (cosa successa), stiamo tanto qui a parlare di bere l'acqua del rubinetto, e di andare verso un mondo più equo e meno consumistico...
e questi sarebbero i nuovi artisti del secolo i pensatori, ma come diceva totò ma fatemi il piacere... :-)

28 Ago 2008 | ore 11:52

@fabio: Oh, che il discorso generale sia su un altro livello e i progetti editoriali del Gambero pure è chiaro; è solo che quell'accenno è uscito per caso...e che ne so io di come funzionano i bonilli-bollini (o quelli di chiunque altro)!

Ok, ora torno ad attendere di vedere i reali sviluppi dell'editoria (non quella delgi allegati). :-)

28 Ago 2008 | ore 12:05

@BOCCHETTI
scusa Alessandro, senza voler difendere nessuno, ma tu hai colto dalla pubblicità Cracco che il messaggio è di bollire la pasta nell'acqua minerale?? Certo, a voler fare quelli che ne sanno di comunicazione subliminale il mex potrebbe anche essere quello, ma mi sembra un'interpretazione veramente forzata e un pò cattivella la tua. Quando fanno usare al "testimonial Cracco" la parola "annegare" questa è intesa nell'uso comune di "bere". Hai presente quando Tex Willer dice a Kit Carson "vecchio cammello, che ne dici di una bella bistecca coperta da una montagna di patatine e annegata in una birra ghiacciata?". Il senso è questo. Infine, non so se hai mai mangiato da lui, guarda che Cracco è un grandissimo chef e nella pubblicità fa lo chef, non il pensatore.

28 Ago 2008 | ore 12:23

@fabio, lo so da me che forse il senso era questo, però non ne sono certo in quanto si vede in primopiano un bollipasta, cmq così viene avvertito da molti, la storia che ho riportata è vera ed è successa a roma. da Cracco avrò mangiato almeno una decina di volte di cui almeno 6 nella sede odierna... nessuno critica la sua bravura, critico la comunicazione e il messaggio che veicola, non è molto diverso da quei palestrati di cui parlava il direttore che poratno l'acqua minerale...

28 Ago 2008 | ore 12:44

@alessandro, mi dispiace ma non sono proprio d'accordo con te. Primo perchè tentare - anche per via subliminale - di far usare la propria acqua minerale per bollire la pasta mi sembra un'idiozia bella e buona che meriterebbe - se fosse così - di licenziare in tronco tutto il top management dell'azienda. Secondo, fare di tutta un'erba un fascio è uno sport molto pericoloso che non serve a niente. Tutto qui. Naturalmente detto con la simpatia della libera discussione. :))

28 Ago 2008 | ore 13:07

La risposta al dilemma del giorno si trova nelle parole del direttore creativo e art Roberto Greco (via Google): “Come ogni grande marca, Acqua Panna racconta una storia. Protagonista di questo nuovo capitolo è uno degli chef più grandi del mondo, Carlo Cracco, che ha deciso, insieme a noi, di non pubblicizzare semplicemente un prodotto, ma di raccontarci quello che succede nel suo ristorante. E’ lì che lui crea e inventa nuove storie intorno al gusto. E’ lì che Acqua Panna accompagna ogni giorno le sue ricette straordinarie”.

p.s. a me che bollisse la pasta nell'acqua minerale non era mai passato per la testa; ma non essendo esperta di Tex e non conoscendo esattamente come fa la pasta senza farina vedendo le immagini senza far caso a cosa dice avevo ipotizzato che gli servisse per la ricetta.

28 Ago 2008 | ore 13:31

...mette i tuorli d'uovo sotto sale... :)))))))))

28 Ago 2008 | ore 13:49

@Alessandro...francamente non mi pare che si voglia far bollire la pasta nell'acqua panna, ma se anche così fosse potrebbe diventare un scelta andare o non andare da chi usa acqua in bottiglia per cucinare...mentre invece chi compra pappine in busta senza nemmeno conoscerne il contenuto o non sapere come si cucinano 4 cose sane e basilari per un bambino ci prepara ad un futuro di pillole per astronauti...
@Gumbo, ovvio che la pubblicità ti rifila ciò che vuole il cliente...(ehm, ne so qualcosa;-) la cosa poco seria e che certe cose si possano dire...

28 Ago 2008 | ore 13:53

Le ricette sono un po' lo specchio della verità: la maggior parte sono magazzino continuamente riciclato, per non parlare delle foto.
Rizzoli, Mondadori & Co hanno enormi archivi ma di ricette fresche, vere, ben fatte come fin qui si è detto quasi nulla.
E tutti si sono abituati a questo andazzo un po' osceno.
Perché è così: perché nessuno vuole più spendere e quindi inconto ci sono solo carta, stampa, impaginazione e un minimo di revisione.
Opere nuove pensate per il pubblico non se ne fanno, la gente è stupida - o almeno così la pensano gli editori - la gente conferma di essere stupida se acquista per l'ennesima volta prodotti riciclati.

28 Ago 2008 | ore 14:33

Il punto è proprio questo, ne chi commissiona o chi le consegna le ricette , ma chi le legge.
E' possibile che tutti alleghino il loro libricino con copertina accattivante e foto ultra, ma poi le ricette gira e rigira son sempre le stesse.
Mi viene il dubbio se alla fine il contenuto interessi a qualcuno, o se gli italiani comprino guardando solo le immaggini.

28 Ago 2008 | ore 19:34

I cuochi sono maitre a penser che nei media si sono presi il posto che un tempo fu di poeti e pittori. Perché? Perché paradossalmente sono più comprensibili di loro, almeno fuori dall'Italia. Non a caso i cuochi come mediatori culturali (e la gastronomia come industria culturale) sono stati studiati fin dai primi anni novanta: da sociologi, storici, filosofi, ricercatori di Cultural studies e... gastronomi. A ben vedere l'importante manager editoriale non sta facendo niente di nuovo. Ha solo "visto" cose che pur essendo state sotto gli occhi di esperti e enogastro-opinion leader italiani, sono state dagli stessi snobbati per lungo tempo. Poi se i cuochi come maitre a penser vendano libri è un'altra storia. Ci sono migliaia di maitre a penser nella storia che non hanno venduto però hanno cambiato i loro tempi e il futuro.

28 Ago 2008 | ore 20:19

mi ritrovo abbastanza d'accordo con scarpato! per trovandoci a volte su linee non proprio convergenti! ma sui maestri di pensiero son d'accordo. Del resto, perché continuare sempre con la solita solfa: cucina e falla finita! Ma cos'è la cucina? Cosa ha di diverso dalla pittura? Ovviamente parlo della comunicazione di emozioni. La vecchia dicotomia tra materiale e spirituale che ha da (quasi) sempre caratterizzato il mondo occidentale andrebbe ormai superata. Perché tenere sempre un po' più bassa la sfera materiale, checché se ne dica? I cuochi sono spesso maestri di pensiero molto più profondi di altri filosofi o poeti scrittori o pittori che non valgono il loro dito mignolo. Eppure: sono solo cuochi. Quando la cantante rilascia interviste di politica, spesso non è all'altezza. O comunque fa una riuscita minore rispetto alle emozioni che comunica cantando. Così può darsi che il Vissani televisivo comunichi meno emozioni (e/o peggiori) del Vissani cuoco, tanto per fare un nome. Ma io credo che riflettere su ciò che mangiamo, aumentare la consapevolezza, capirne i meccanismi, offrire emozioni e dare la possibilità di tirarne fuori - di emozioni - sempre di più da un atto come il mangiare... Be' questa è una palestra di pensiero che amplia la mente degli uomini. Ci sono cuochi che stimolano la nostra capacità di percepire la grazia. Certo, ce ne sono altri che sono veri e propri cani! Ma questo vale per tutti: mica chiunque abbia in mano un pennello e lo usi per dipingere e vendere quadri è un artista o un maitre a penser! Insomma, non credo che i maitre a penser possano essere catalogati per categorie, ma per ciò che fanno, per gli stimoli che danno, per la loro capacità di proporre punti di vista originali. Che siano cuochi o filosofi, pittori o atleti, romanzieri o ferrovieri. O semplicemente uomini... pensanti!
Il discorso sull'editoria, sulle ricette e quant'altro, poi, non riguarda i cuochi, ma chi fa impresa (a volte culturale, ma non sempre) in questo settore.

ps. le ricette della Gazzetta saranno pure riciclate, ma il lavoro - di pensiero, oltre che fisico - che ha fatto la nostra annalisa barbagli per revisionarle le rende sicuramente migliori degli originali e costituisce un valore aggiunto, anche di pensiero...

29 Ago 2008 | ore 11:58

calciatori, cantanti, stilisti, architetti, attori, presentatori , tutti ... VIP tutti stramilionari (euro) fenomeno dei tempi nostri ,di quello che può fare la notorietà per essere apparso in TV più volte un fenomeno generato dai MASS MEDIA ... guardando la TV il popolo empatizza con il personaggio ne diventa FAN ed è disposto a spendere pur di aver qualcosa di lui, una foto, un libro, un disco, un oggetto, c'è addirittura gente che paga per andare in Sardegna solo per vedere dietro una rete metallica un VIP di passaggio! e che dire delle varie riviste di GOSSIP ? sull'onda di tale fenomeno c'è chi ci marcia ... ma mi chiedo alla luce della crisi economica attuale , quanto tutto ciò potrà ancora durare.

02 Set 2008 | ore 12:08

volevo aggiungere ....

Maitres à penser ? direi piuttosto "MAITRES A' ENCAISSER" (maestrI a incassare ) di intellettuali non ne vedo ...

02 Set 2008 | ore 12:11

gentile chef,

la invito a visionare la nuova linea "Terrinox" di "invito a corte", serie di terrine in acciaio inox realizzate in collaborazione con alcuni grandi chef e in via di lancio sul mercato.

www.invitoacorte.blogspot.com

www.invitoacorte.meccanicastella.it

cordialmente gabriele michieletto

09 Set 2008 | ore 19:11

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