26
Giu 2006
ore 19:45

Elogio della cucina tradizionale

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polpette_al_sugo.gif

Ma si, stiamo parlando della tradizione in cucina usando un simbolo un po' provocatorio, la polpetta. La tradizione pesa e non poco nella nostra cucina. La tradizione è una base gigantesca, le ricette sono alcune migliaia ma nelle trattorie e nei ristoranti se ne trovano/provano alcune centinaia. C'è un grande spazio di ricerca e riscoperta. Nel frattempo alcune "novità" diventano dei classici e così la tradizione si alimenta e non invecchia. E nessuna innovazione esisterebbe senza una grande tradizione alle spalle.

commenti 27

Nessun commento a questo post, mi chiedo il perchè.
Nessuno è d'accordo per cui non parla? Nessuno ha letto? (non credo) Nessuno ha a cuore la tradizione?
Da molte cose che leggo sembra che la tradizione a tavola sia da evitare come la peste. è trendy un piatto destrutturato o una schiuma, ma non ci sono molti che raccontano di essere andati a ristorante per mangiare un piatto di tagliatelle classiche.
A me sembra che la moda e le preferenze dei clienti cerchino il "diverso" e non il tradizionale.
Anche se, senza la tradizione, non esisterebbero ad es i piatti "destrutturati".
Il pericolo che avverto è che certe tradizioni spariscano perchè nessuno ne ha fatto tesoro. Mi rattrista, ad es., andare in Abruzzo a cena a casa di amici, mangiare un superbo timballo di scrippelle e sentirmi dire "purtroppo queste cose le puoi trovare solo in casa, fuori nessuno le fa..."

28 Giu 2006 | ore 12:23

Sig. Staximo ha proprio ragione!
sono della Sicilia, vivo a Roma. Qualche settimana fa mi è capitato di andare in un ristorante siciliano,durante la cena ho conosciuto il cameriere anche lui Siciliano,tutto carino,un bell'ambiente ma quando ho chiesto alcuni specifici piatti (polpette di melanzane e sarde, pasta con broccoli "arriminati",panelle e crocchè per antipasto, sarde "allinguate"...) mi hanno risposto: " siamo a Roma, proponiamo dei piatti della tradizione siciliana in maniera rivisitata, perchè la vera tradizione siciliana qui non la capisce nessuno e poi quello che ho chiesto io sono pietanze che facevano le donne di una volta" . Quindi Staximo servire due peperoni in agrodolce, o pasta con melanzane, qualche arancina e qualche altra cosina strapiena di aceto, capperi.... per loro è fatta.

28 Giu 2006 | ore 13:01

Gli interventi non ci sono perchè, sembra incredibile, ma l'argomento è difficile e l'esempio della cucina siciliana vera e non fatta perchè non sarebbe capita è emblematico. Intanto sarebbe bello elencare venti o trenta ricette della grande cucina siciliana e scoprire che la gente del nord (da Napoli in su...) non ne conosce nessuna. Poi sarebbe bello trovare a Roma un vero e grande ristorante siciliano e non il frutto di un bel lavoro di pr. Infine quello che si dice per la cucina siciliana è applicabile a tutte le cucine regionali, conosciute solo superficialmente e solo per i piatti classici.

28 Giu 2006 | ore 17:09

Per Staximo,
Il motivo per il quale nessuno prende parte a questo post è abbastanza semplice. E' difficile che qualche gourmet affermi di aver fatto un esperienza gastronomica di livello dopo aver mangiato una cucina tradizionale, che poi si tratti di cucina siciliana, emiliana o romana, poco conta. I clienti e in particolarmodo i giovani, preferiscono un genere di cucina "diverso"....
Il pericolo che certe tradizioni spariscano esiste, però tu che sei bolognese quante volte al ristorante ordini un tortellino in brodo o una tagliatella?

28 Giu 2006 | ore 22:20

mi sembra il solito circolo vizioso: diminuiscono le trattorie tradizionali perchè cala la domanda e la domanda diminuisce ulteriormente perchè le trattorie tradizionali perdono le loro caratteristiche; qual è la causa e quale l'effetto?
non so

quando qualcuno mi chiede un indirizzo per risotto e cotoletta buoni a Milano in trattoria, sono in difficoltà

peccato perchè a me piace molto anche la cucina tradizionale

per Muccapazza: a me una tagliatella alla settimana non la toglie nessuno!

29 Giu 2006 | ore 09:17

Condivido in pieno le preocuupazioni per la sorte della cucina tradizionale, anche se ritengo che da qualche anno a questa parte si assista ad una inversione di tendenza in materia con una maggiore attenzione alla cucina di territorio.
La mia opinione è che, comunque, la cucina tradizionale la si aiuta anche non cercando ristoranti siciliani a Roma. Penso, infatti, che la pretesa di trovare ogni cosa in ogni luogo (global-gastronomia) sia il primo nemico da sconfiggere. La cucina tradizionale - lo dice la parola - è tradizione, deve raccontare un luogo determinato, una storia precisa, non può essere decontestualizzata.
p.s. per Caterina, prova alla Trattoria Milanese in Via Santa Marta.

Ad Majora

29 Giu 2006 | ore 09:56

In Italia l'emigrazione da sud verso nord ha mischiato le cucine. Non vedo perchè i ristoranti toscani a Milano abbiano un senso (senza i toscani metà ristorazione milanese sparirebbe, Aimo e Nadia in testa) e i siciliani a Roma, dove i romani sono una minoranza, non debbano avere ragion d'essere. Poi, ci sono città e regioni dove sarebbe assurdo chiedere un risotto, tanto per fare un esempio, e altre dove è ridicolo chiedere pasta con le sarde, ma in alcune grandi città italiane ci sono, per fortuna, molte cucine regionali perchè molti sono gli abitanti di quelle regioni diventati emigranti: i siciliani a Torino, i pugliesi a Milano, gli abruzzesi a Roma.

29 Giu 2006 | ore 12:02

Per Mucca: ti suonerà strano ma anche io ho ordinato tagliatelle e tortellini a ristorante... ed anche a feste campestri perchè conoscevo le sfogline! :o)
Per i tortellini ammetto di essere più schizzinosa, per tagliatelle o tortelloni invece no: sono i primi che ordino di solito quando mi trovo in un ristorante bolognese.
Devo però ammettere che, se esco a cena, preferisco avventurarmi in altri tipi di cucina regionale rimanendo però sempre sul tradizionale. Sia qui sia in altre città. Il mio obiettivo è di cercare di mangiare come un abitante del luogo mangerebbe a casa sua, ma non è facile.

29 Giu 2006 | ore 12:15

ha perfettamente ragione mucca ("E' difficile che qualche gourmet affermi di aver fatto un esperienza gastronomica di livello dopo aver mangiato una cucina tradizionale"), e aggiungo un particolare: in nessun campo viene recensita la tradizione. si sottopongono a critica i nuovi film, le nuove auto, i nuovi vestiti, le nuove tramissioni. diverso è il caso di servizi turistici, nei quali è giusto offrire più opzioni sul dove mangiare, dove dormire, cosa fare perché il lettore non si muove per fare l'esperienza gastronomica dell'anno, ma per godere di quella certa zona al suo meglio e il cibo diventa un simpatico nutrimento,
del resto lo stesso direttore Bonilli, scritto alcuni anni fa l'editoriale sulle polpette, aprì il numero a ben altro, cucina molecolare e gelatine se ricordo bene.
1. continua

29 Giu 2006 | ore 12:42

Caro Bonilli, molto modestamente, preciso che il mio discorso vale, ovviamente, anche per i ristoranti toscani a Milano. Non ho mai mangiato bene siciliano lontano dalla Sicilia o ligure lontano dalla Liguria (per non parlare del livello dei 1000 ristoranti pseudo-pugliesi a Milano). Io sono napoletano, vivo a Milano da 7 anni, ma non ho mai cercato all'ombra della Madonnina nè pizza nè parmigiana di melanzane.
Tutto, comunque ha ragion d'essere si tratta di scelte personali.....a prescindere dalla qualità, a me proprio non viene la voglia di mangiare un ragù (quello napoletano) sui Navigli.......
Ciò posto, Aimo e Nadia che io adoro non lo ritengo l'emblema della cucina toscana a Milano. E' un gran posto che fa grande cucina e tale resterebbe in qualsiasi angolo del mondo ma non lo si può considerare un ristorante di cucina tradizionale toscana, come vorrebbero essere altri posti (Colline Pistoiesi, Assassino, Girarrosto, Tavernetta da Elio ecc. ecc. senza i quali - visto il rapporto qualità prezzo - il panorama della ristorazione milanese sarebbe senz'altro migliore).

Ad Majora

29 Giu 2006 | ore 12:48

Quello di su sono io avevo dimenticato di firmare.

saluti

29 Giu 2006 | ore 12:55

Per Caterina,
Secondo me hai centrato in pieno il punto. Che le trattorie tradizionali stiano sparendo perchè la domanda è diminuita non ci piove ma non credo che le trattorie tradizionali siano diminuite perchè hanno perso le loro caratteristiche, o almeno non ne farei mai una colpa agli osti. Semmai credo che ad un certo punto dell'evoluzione della cucina italiana sia il pubblico che la stampa specializzata siano stati maggiormente attratti da tutto quello che era considerato nuovo, dopo tutto i giornalisti di settore non possono fare a meno di guardare avanti ma evidentemente c'è stato un problema di comunicazione tra i creatori del messaggio e gli utenti finali che hanno identificato il nuovo come un esperienza multisensoriale da provare a tutti i costi. Basta guardare le recensioni che arrivano nel forum del GR per capire quale tipo di cucina i gourmet preferiscono. Prendi come esempio Pierangelini che ha eliminato dal proprio menù lo spaghetto al pomodoro perchè non richiesto, chissà se gli stessi ispettori della guida del gambero lo hanno mai recensito oppure sono stati attratti da proposte più "particolari".
Con una stampa di settore fossilizzata su certi argomenti ed un pubblico incline a un tipo di esperienza gastronomica mi sembra che fosse abbastanza inevitabile che le vecchie trattorie si modernizzassero perdendo la propria identità, storia e valenza culturale ecc..ecc... Personalmente non conosco nessun chef di talento che per emergere proponga nel suo ristorante una cucina tradizionale senza le personali reinterpretazioni che vanno dalla destrutturazione all'estetica passando per il sapore. Eppure ti assicuro che proporre piatti della tradizione, che forse esteticamente saranno meno accattivanti di quelli di concezione creativa, è difficile. Occorre documentarsi, scovare la materia prima migliore, saperla lavorare esaltandone tutti i suoi lati migliori e soprattutto essere in grado di saperla raccontare, dentro e fuori dal piatto. Un lavoro faticoso che probabilmente ripaga molto meno dai lustrini e paillettes che invece garantisce una cucina "diversa".
Mi fa piacere che tu sia una estimatrice della tagliatella (anzi segnala qualche posto in cui anche noi possiamo godere di questo piatto ricco di storia, idem per Staximo) purtroppo i bolognesi di età compresa tra i 25 e i 38 anni raramente la ordinano perchè per un motivo e per l'altro c'è sempre qualcuno che a casa gliele prepara per cui sono sempre attratti da piatti più o meno stravaganti. Il vero rischio che si corre è che la cucina tradizionale diventi un richiamo esclusivamente per turisti i quali, non conoscendo la tradizione locale, rischiano di trovare nel piatto fischio per fiasco.

Mucca

29 Giu 2006 | ore 13:10

Il caro Paolo insiste con l'editoriale sulla polpetta (io l'ho fatto, non ne ho letti molti altri) e il fatto che nello stesso numero ci fosse la cucina molecolare. Io dirigo una rivista che si occupa anche della cucina, vista secondo le tendenze: da un lato c'è stato un editoriale sulla tradizione e dall'altro la descrizione di altre tendenze. Io non scomunico le varie anime della creatività, il Gambero Rosso è stato il primo a fare una copertina su Adrià, ciò non toglie che io adori la cucina tradizionale, che adori e scriva -delle- e -sulle- tagliatelle, che consideri i tortellini in brodo uno dei grandi piatti della cucina/mondo. La coerenza, a tavola, è la capacità di mangiare "quasi" tutti piatti veri&buoni. Dico quasi perchè ognuno ha le sue perversioni e anche io mangio e amo delle "schifezze".
Vedo però alcuni segnali che portano a credere che il caravanserraglio dei gourmet comincia ad avere voglia anche, dico anche, di piatti della tradizione. Il vero problema è dove trovarli buoni: un grande cacio e pepe è poesia rara a Roma, la matriciana veramente buona solo in due o tre posti e le tagliatelle? dove sei Mirella! E i tortellini o un piatto di canederli come i santi comandano. Lascio il computer e vado a tagliarmi una fetta di salame di Fulvietto Pierangelini e lo mangio con una fetta di pane Lariano del forno Roscioli e...bevo san pellegrino.
Che volete ognuno a 40 gradi ha le sue debolezze :-)

29 Giu 2006 | ore 13:38

Per Mucca
azzardo un'ipotesi che ho in testa da un po'.

E' vero che in genere la cucina innovativa attrae di più chi ha voglia di fare nuove scoperte e farsi sorprendere (cosa che in genere quando usciamo a cena mi sembra normale)

in un certo senso però, mentre un piatto nuovo lo giudichiamo con spirito "vergine" (ci piace, non ci piace, l'accostamento è nuovo? è ardito? i sapori sono in armonia?), quando valutiamo la cucina tradizionale abbiamo più o meno inconsciamente in testa i sapori di riferimento con cui siamo cresciuti, quindi forse, diventiamo molto più critichi e perdiamo oggettività (magari un piatto ci piace di più non perchè è più buono e fatto meglio, ma perchè ci ricorda come lo faceva la nonna)

quindi, qui provoco, può essere quasi più difficile per un ristoratore fare bene (e far apprezzare)la cucina tradizionale....

personalmente, quando vado a cena da un grande chef, se in carta c'è un piatto tradizionale, mi fa piacere assaggiarlo per valutare se è ben fatto, se lo chef è bravo anche in quello (ad esempio sul risotto alla zafferano sono paranoica, lo assaggio sempre se c'è in carta)

un po' come un pittore astratto su cui mi chiedo se sa fare bene la copia dal vero oppure se è partito subito e solo da qualcosa di nuovo

29 Giu 2006 | ore 19:32

Qui Piemonte da sempre pionieri che ci facciamo soffiare le idee(solitamente dai milanesi che le raffinano e ci fanno affari):
In provincia di Torino accanto ad una recessione dei ristoranti blasonati stanno risorgendo le trattorie tipiche in provincia dove una buona perte dei ristoratori si e resa conto che l`insalata del vicino contadino non solo e spesso piu buona dell`insalata di chissa dove dei mercati generali ma costa anche meno.
Quindi spesso mangi in grandi ristoranti semideserti a cifre corrette ma elevate e poi in trattorie strapiene dove se ti accontenti di un servizio non impeccabile mangi la tradizione buona fatta bene.
Ho una provocazione per i giornalisti:non e piu facile parlare di un piatto innovativo di cui non esiste una comparazione rispetto ad un piatto tradizionale dove per giudicare bisogna avere un termine di paragone valido?
Insomma giudicare un piatto tradizionale richiede piu cultura, forse.
Sulla delocalizzazione delle cucine sono meno radicale, ovvio che mangiare l`aragosta al Sestriere e il camoscio a Porto Cervo e una corbelleria, pero oggi a Torino con l`immigrazione avvenuta negli anni settanta si trovano negozi "etnici" dove si possono acquistare ottime specialita regionali del meridione.

30 Giu 2006 | ore 06:04

Io penso, l'ho detto moltissime volte negli ultimi anni, è una direttiva interna della guida ristoranti (vale un bonus) che i bravi cuochi, tutti, indistintamente, dovrebbero avere in carta un piatto della cucina tradizionale, possibilmente della loro regione, come esempio, come messaggio culturale e anche come biglietto di presentazione per gli "stranieri". Sono stranieri tutti quelli che non vivono e non conoscono la cucina di quel territorio. E non c'è bisogno di essere americani per essere stranieri, basta essere dei piemontesi in Campania o dei trentini in Sicilia e viceversa.

30 Giu 2006 | ore 11:54

Magari i gourmet snobbano la cucina tradizionale, ma ma maggior parte delle persone "normali" che conosco, di tutte le età, non vuole innovazione, vuole i "soliti" piatti!

Io sono incuriosita dalle stranezze e dalle novità, ma non ho problemi a mangiare lo stesso "banale" piatto anche tutti i giorni, a casa e fuori casa. Tanto potrei mangiarne un milione di versioni ma nessun piatto è mai assolutamente identico all'altro.
Il miei problemi con le trattorie tradizionali sono solo:
1. molte ti rifilano ingradienti scadenti
2. le porzioni sono enormi,invece a me piacciono i piccoli assaggini...!

30 Giu 2006 | ore 12:18

Rleggendo i commenti precendenti, aggiungo:
sul libro su Pierangelini so che si parlava degli spaghetti al pomodoro -dato che mi ricordo che ho pensato "ecco uno dei piatti che sarei più curiosa di assaggiare al Gambero Rosso!".
Però sono (quasi) sicura che il motivo per cui li ha tolti dal menù non è quello che hai scritto, Mucca (anche se ora non ho il libro a portata di mano e non ricordo la frase con precisione).

30 Giu 2006 | ore 13:45

Per Caterina,
sicuramente quando si valutano piatti della cucina tradizionale si dispone di un feedback riconducibile ai ricordi dell'infanzia (ma questo discorso vale solo per la cucina tradizonale che si conosce) però a mio avviso, valutare una cucina tradizionale sulla base dei piatti che faceva la nonna è sbagliato. Provo a spiegarmi meglio: Oggi rispetto a 50-60 anni fa disponiamo di una materia prima migliore, c'è maggiore conoscenza della materia prima, più tecnica e tecnologia che migliorano la qualità della cucina tradizionale. Per intenderci, non sono contro la cucina delle nonne e delle mamme ma non possiamo negare che molte di queste cucinavano e tutt'ora cucinano con approssimazione, tanto che alcuni difetti del gusto tendono ad entrare nel feedback dei sapori.
Farsi apprezzare per una cucina tradizionale sicuramente è molto più difficile rispetto ad una cucina creativa (vera) ma anche quest'ultima non è semplice da proporre a un pubblico non riluttante.

Per Gumbo,
E' vero che molti piatti della tradizione sono realizzati con ingredienti scadenti, tempo fà litigai con un addetto alla guida di Osteria d'Italia perchè gli obiettai che non bastava fare una cucina tradizonale per esser citati sulla guida della SF. Era fondamentale sapere con quali materie prime venivano realizzati i piatti e questo indipendentemente dalla spesa limite prevista entro i 35E. Un buon 60% dei locali segnalati secondo il mio parere non ha senso di essere preso in considerazione. Scoppiò un putiferio, più da parte mia ad esser sincero. Non mi sono mai incazzato così tanto con una persona che nemmeno conoscevo.....ma almeno ho detto tutto quello che pensavo di Osterie d'Italia.

Mucca


P.s.
Per quanto riguarda lo spaghetto al pomodoro ho dedotto quella conclusione da una vecchia osservazione che fece Bonilli nel forum. Credo che facciamo prima a tagliare la testa la toro: Bonilli lei lo sa perché Pierangelini ha tolto dal menù lo spaghetto con i pomodori della piana di Suverana (era Suverana?Bho?)

30 Giu 2006 | ore 14:21

Perchè non li chiedeva nessuno: cosa vado da Pierangelini per mangiare degli spaghetti al pomodoro! E invece, poichè il buon Fulvio stava facendo una ricerca sul pomodoro, i suoi spaghetti "non erano niente male!!!"
Ho mangiato da lui anche degli spaghetti alle vongole "non male!!!" ma quelli non erano in carta ed era un privilegio che ricordo con grande piacere.
Comunque, a proposito di cucina tradizionale, quando siamo andati con Uliassi, Agata Parisella, Cedroni e altri all'ultimo corso di Adrià, il primo giorno ha cucinato i piatti della cucina spagnola più importanti ed è stata una cena fantastica. "Avete visto cos'è la cucina spagnola e cosa so fare io - ci ha detto - bene, adesso passiamo a vedere la mia cucina, che è completamente diversa. Ve lo ricordate Picasso del periodo blu...? bene, abbiamo scoperto che Adrià era un grande cuoco - che Picasso del periodo blu sapeva dipingere in modo meraviglioso - ma poi Adrià ha cambiato stile ed è diventato Adrià.

30 Giu 2006 | ore 18:03

Ho letto con piacere il contenuto di questa parte del Blog e mi permetto di allegare parte di un intervento ,tenuto anni or sono durante una lezione di cucina sul tema in oggetto:
LA TRADIZIONE
…..usi ,costumi , arti liberali, spiritualità,alimentazione, gusto…,
la Civiltà non è mai statica, esiste e si tramanda quotidianamente, grazie ad una dinamica proiettata nello spazio-tempo
La dinamica è cinetismo è vita.
La vita è un viaggio e i popoli sono delle valigie.
La Civiltà di un popolo è il contenuto della valigia.
La tradizione è il fenomeno causato dall’apertura a dalla chiusura della valigia durante il viaggio.
Il contenuto della valigia si puo inventare, eliminare , dononare, tramandare, lo si può comperare, rubare, si puo’ perdere ...
ma il fenomeno tradizione rimane un’azione dinamica ed in quanto tale è contaminabile.

Il concetto sopraespresso è facilmente comprensibile, tutti però oppongono resistenza quando lo si estende all’alimentazione.
Nella storia culturale di un popolo, invece, le modificazioni alimentari sono le più continue. Per esempio nella civiltà veneziana

I “armeini”(albicocche) sono Armene, ed arrivarono in Italia attorno al Isec. d.c.;
I “perseghi” (pesche) furono importati dalla Persia;
Le “xixoe” (giuggiole) furono importate dalla Cina;
El “dindio” ( tacchino) è la gallina proveniente dalle indefinite Indie;
A “poenta” è una trasformazione del mais che arriva in Italia nel 1494 e nel Veneto a metà del ‘500;
Le “patate, el pomo de oro, e la cioccolata” arrivarono come il mais dall’America;
I “bigoi in salsa” assimilati dalla civiltà ebraica.
Il trionfo del riso è festeggiato in una città di mare lontana dalle risaie come Venezia.

Per molti di noi questi alimenti sono la tradizione veneziana, come i kiwi , che oggi si coltivano nell’orto di casa e che per i bambini saranno la tradizione di domani.


Cosa difendiamo allora quando ci nascondiamo dietro la parola “tradizione”?
Una paura che terrorizza perchè la rapidità dei cambiamenti è oggi travolgente.

Il nuovo avanza e per paura ci nascondiamo dietro al concetto “salviamo la tradizione perchè è buona”!
Così, la gente domenicalmente si sposta nel “museo campagna” alla ricerca della cultura estinta, tocca la reliquia!
Non agisce per migliorare, anzi torna a casa e subisce la globalizzazione.

Ricordando l’antica omogeneizzazione-globalizzazione dell’impero romano,
tutto verrà assimilato e diluito in caratteristiche “medie” che andranno bene a tutti.
Usando la legge del più forte,le multinazionali, con 35 prodotti alimentari ci daranno da mangiare, è il pendolo-storia che si ripete.

La vera tradizione è invece la capacità di una civiltà di assimilare il nuovo facendolo proprio, e per fare ciò è necessario sapere ed osare!

01 Lug 2006 | ore 00:08

Gli spaghetti tolti dal menù...ripensandoci effetivamente io non ricordavo il motivo, ma solo la mia interpretazione della cosa; cioè che il problema non era avere in menù una cosa che "vende poco" ma il fatto che la gente non capiva il senso di un piatto così in QUEL (tipo di) ristorante. Che il mio ricordo sia corretto o meno, comunque è compatibile con quello che avete detto.
E dato che domani me ne vado in ferie, chiudo qui il cavillamento (non potevo non dire ancora un paio di frasi prima di partire, però!).
Tra l'altro per andare all'Elba transiterò vicino a S.Vincenzo. Posso fare una deviazione, suonare il campanello e chiedere un piatto di spaghetti al pomodoro! ;-)

01 Lug 2006 | ore 00:56

La vera tradizione è una somma di innovazioni ben riuscite, la tradizione vera non è mai fissità e si rinnova continuamente anche se a un primo sguardo questa può sembrare una contraddizione in termini,tradizione-innovazione, la tradizione non è ripetitività ma è profondità, ricerca il che vuol dire ricerca delle ricette-vere che hanno un'unione col territorio, con la gente, con la lingua-dialetto, con i prodotti di una terra a vista d'occhio.
Elogio della tradizione, in altre parole, è un invito a non fermarsi all'ovvio ma scoprire il nuovo che c'è nell'antico.

01 Lug 2006 | ore 12:27

Dunque con questo suo intervento , caro direttore comprendo che c'è una tradizione vera ed una falsa.
L'oggeto è la cucina tradizionale.
Mi può descrivere quella falsa?

01 Lug 2006 | ore 16:35

La tradizione falsa è quella che comincia col non rispettare la scelta delle materie prime, prosegue applicando il taglio dei costi all'olio come al guanciale, al pomodoro e alla carne o al pesce che si usano e conclude introducendo una variante della casa nella esecuzione della ricetta, variante il più delle volte patetica. La cucina della tradizione è composta da almeno duemila ricette, somma delle ricette della tradizione di ogni regione e per meglio capire si potrebbe prendere come base di partenza il libro "Le ricette regionali italiane" di Anna Gosetti della Sada. In ogni regione ci sono libri o tradizioni orali che sviluppano varianti di ogni ricetta e ci sono ricette così complesse e così rare che nessun libro riporta perchè frutto di una cucine delle feste. Come per i vitigni autoctoni, comunque, non tutto quello che si riprende dalla tradizione è buono ma molte, cioè centinaia e centinaia, sono le ricette quasi dimenticate, così come i prodotti, valga per tutti il lardo in cucina, non quello di Colonnata su un toast costoso, lardo che era stato abbandonato per motivi sia salutistici, rivelatisi sballati, sia per motivi economici cioè l'invasione della margarina delle multinazionali. A questo proposito va ricordato che noi avevamo una legislazione sull'uso dei grassi tra le più avanzate del mondo ma abbiamo dovuto cedere allo strapotere del nord europa e sono passate le margarine. Il nostro sistema di alimentazione, là dove non è stato stravolto da usi alimentari nord americani, era giusto ed equilibrato però sono dovuti venire i nord americani a battezzare il nostro modo di alimentarci "dieta mediterranea". Per noi era una dieta da paese agricolo dalla quale volevamo affrancarci quanto prima e la dieta era anche, ma non solo, la summa di gran parte delle ricette della tradizione.

02 Lug 2006 | ore 12:46

Condivido il commento del direttore e aggiungo una cosa :
forse piu facile "sgamare" i falsi innovatori.
Nel senso che Adria all`inizio della sua carriera se non ricordo male in un locale di Barcellona faceva e molto bene, la cucina catalana tradizionale, poi ha creato un nuovo sistema di cucinare basato su una ricerca vastissima di ingredienti e tecnologia diventando quello che e oggi.
Tutti quelli che ficcano due cavolate nel sifone non hanno capito nulla del genio creativo di Ferran, che proprio per la sua genialita resta inimitabile, replicabile ma inimitabile, esattamente come tutti i geeni,che hanno dei numeri nel loro DNA che li rende unici.
Prendere un bambino e farlo allenare per anni a palleggiare con un arancio non garantira di creare un nuovo Maradona, chiaro?
Sulla nostra esterofilia lungo sarebbe l`elenco delle cose che abbiamo scoperto grazie agli stranieri da bellezze paesaggistiche ai vini, noi siamo piu attirati da una cosa estera che non dalle cose nostre.
Ugo

03 Lug 2006 | ore 05:54

ma, come dire?
vogliamo nascondere che la polpetta non sia, o non sia stata, almeno agli esordi, un cibo preparato con gli avanzi?
i ristoranti che propongono le polpette - seguite da licenziose gentilizze quali "della nonna" et similia - sono ristoranti che cucinano l'avanzo, spesso lo scarto (che solitamente è anche il più saporito).
quando va bene, tributando onori a Freud ed al suo teorema psicanalitico per cui, anche in familia, non si pensa che alle solite cose.
sappiamo quanto Freud amasse la madre.
che gli cucinasse le polpette anche lei?

09 Nov 2006 | ore 16:57

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