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Ott 2011
ore 00:10

La band rock del Trigabolo, l'unica esistita nella cucina italiana. Una storia vera diventata leggenda

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In una cittadina di ventimila abitanti, in provincia di Ferrara, c'era una volta un ristorante di nome Trigabolo.
Più che una storia quella che vi racconto è una favola o, se volete, una leggenda della ristorazione italiana.

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Tutto ha inizio nel 1979 quando il rappresentante di giocattoli Giacinto Rossetti con il socio Gualtiero Musacchi rileva una pizzeria in piazza Garibaldi 4b, ad Argenta.
In cucina assume un giovane cuoco che ha lavorato sulle navi, si chiama Igles Corelli.
Igles chiama un diciasettenne che ha lavorato con lui e si chiama Bruno Barbieri.
Il terzo della band è un altro giovanissimo, fa il pasticcere, è appena uscito dalle scuole professionali, si chiama Bruno Gualandi.
A questo terzetto aggiungete un maitre assolutamente atipico, Bruno Biolcati, ed ecco la squadra che, capitanata da Rossetti, rivoluzionerà dalle fondamenta la cucina fin lì fatta in Italia.
Perché i rockers del Trigabolo sposano la nuova cucina con i prodotti del territorio e sono tra i primi a fare una cucina diversa da tutto quello che c'era allora in Italia.
Marchesi in fondo era un francese in Italia mentre loro, i rockers, erano dei terragni, come dice Rossetti, erano figli della grande provincia italiana, delle Valli di Comacchio e della materia prima che era l'essenza della cucina del Trigabolo, cioè prodotti dell'orto, grande uso delle erbe aromatiche, ma anche una cacciagione che quasi più nessuno dopo di allora ha avuto di tale qualità e ha potuto cucinare, pensate ai moriglioni, ai fischioni, alle anatre, alle  folaghe per non parlare degli inarrivabili polli e conigli di cortile.

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Moriglione

Nel menù del Trigabolo si potevano trovare il ventaglio di fischione in salsa di funghi e tartufi, il piccione al forno al cacao e broccoletti, il germano ripieno al pescegatto in salsa di caffè e mandarino, la suprema di fagiano alla crema e prezzemolo fritto,

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Anatra selvatica

Poco tempo fa Giacinto Rossetti mi ha detto che già allora non era possibile fare la grande cucina perché le materie prime di qualità somma erano quasi introvabili oppure, come capitava a loro, erano fornite da clienti che erano anche cacciatori e gourmet, come l'industriale Marco Galliani che dalla Scozia, dove aveva una riserva di caccia, portava spesso animali eccezionali e introvabili sul mercato italiano, ma questo si scontrava con le Usl e le regole molto rigide che disciplinavano l'uso di materie prime come la cacciagione.
"La ricerca di una qualità estrema quale noi allora praticavamo era ed è impossibile - mi ha detto Rossetti - a meno che non ci siano enormi investimenti ma anche così basta uno della Usl per sospenderti la licenza perché si è stretti da mille regole".

Ma torniamo indietro nel tempo, torniamo alla favola che vi stavo narrando e alla volta che Federico Umberto d'Amato, curatore della guida dell'Espresso, portò al Trigabolo Henri Gault, uno dei più famosi giornalisti gastronomici del mondo, per far mangiare al francese i ravioli di faraona allo zabaione di parmigiano - piatto memorabile - e Rossetti disse che erano appena stati tolti dal menù e si rifiutò di servirli.
In tavola arrivarono invece budino di cipolla al fegato grasso e zenzero, il pasticcio di cervello alla fonduta di pomodoro e l'insalata di calamaretti alle fave e asparagi.
Tutto era fatto espresso, nulla era riscaldato o rigenerato, anche le verdure erano tagliate lì per lì e la sfoglina Gianna iniziava a tirare la sfoglia col mattarello solo quando partiva la comanda.
Henri Gault, un signore che poi sarebbe nient'altro che "l'inventore" della Nouvelle Cuisine insieme con Christian Millau, rimase sbalordito, folgorato, basito da una cucina di tale maestria che Igles Corelli e la sua band avevano mandato in tavola senza timore reverenziale per i due critici gastronomici e il loro giudizio.
E d'altronde perché avrebbero dovuto avere timore loro che provavano nuovi piatti anche alla notte, dopo che era finito il servizio.
Così erano nati i tagliolini ai pesci dell'Adriatico e crema di prezzemolo, le crespelle allo Stilton e pistacchi, i garganelli piccanti in salsa d'aglio, la zuppa di pesci allo zafferano, lo zabaione di sogliola al pepe rosa, la pernice di Scozia - che però la Usl  non doveva scoprire nel frigorifero - arrostita con succo di mirtilli e polenta.

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Germano reale

Uno dei grandi piatti del menù del Trigabolo del 1987 era il germano reale al fegato grasso e coriandolo, altra prelibatezza era la scaloppa di fegato d'oca alle pere e pepe rosa, e ancora il medaglione di vitello alla crema di lattuga e mandorle.
E non vi ho parlato dei dolci e di quel fenomeno che è stato Mauro Gualandi  famoso per i suoi bignè fritti caramellati, una nuvola di sapore contenuta in un velo sottilissimo e croccante, con la crema ghiacciata e lo zucchero che si caramellava nella salamandra.
Uno dei piatti più copiati in quegli anni.
E così incominciano ad arrivare nelle cucine del Trigabolo giovani cuochi attratti dalla fama dei suoi piatti innovativi e dalla banda di cuochi rock che quei piatti inventano, arriva Italo Bassi, oggi chef all'Enoteca Pinchiorri, i fratelli Marcello e Gianluca Leoni, e anche grandi cuochi come Senderens che siede alla tavola del Trigabolo per assaggiarne i piatti ormai famosi.

Giacinto Rossetti in tutti gli anni di vita del Trigabolo crea una cantina che ha pochi eguali a livello internazionale con tutta la produzione italiana che vale, nuova e sconosciuta, perché Giacinto è uno che faceva stupire Veronelli, e così Borgogna come se piovesse, con bottiglie già allora introvabili, impossibili e rare, Bordeaux, Riesling renani e via così.
La bella favola dura fino all'inizio degli anni Novanta, il Trigabolo prende le due stelle Michelin, è ai vertici della guida dell'Espresso ma non è certo un locale popolare, sta in una cittadina fuori da qualunque rotta turistica, i costi di una così alta qualità sono enormi e i ricavi meno.
Nella fase di difficoltà molti approfittano della situazione per "strangolare" Rossetti, quello della cucina italiana non sempre è un mondo di gente per bene.
Gli amici cercano di intervenire ma non c'è niente da fare e così nel 1993 il Trigabolo fallisce e chiude con un seguito di voci, maldicenze e calunnie che suonano come una vendetta contro chi è stato tanto innovativo e bravo.
La banda rock si sparge per tutta Italia, la favola finisce e finisce male.

Erano giovani, stipendio basso, quando c'era, ma tanta bravura e inventiva.
Ad Argenta, vicino a Ferrara, d'inverno nebbia, d'estate zanzare.

 

commenti 37

Bellissima storia.

(Sulle usl di tutto il mondo che di fatto hanno ucciso una valanga di sapori (si pensi alle temperature di cottura raccomandate per il maiale o le uova) ci sarebbe da scrivere un libro...)

31 Ott 2011 | ore 01:37

Interessante come sempre. Mi piacerebbe leggere i
ricordi di Corelli di quel periodo.

31 Ott 2011 | ore 05:59

Una leggenda.
Quello di Corelli & Co. secondo me era puro talento, poichè a quel che so, non avevano avuto maestri di riferimento.
Nel mio immaginario penso ad un due stelle michelin come ad un'ammiraglia ben collaudata. Mi chiedo come fa ad affondare una barca del genere che dovrebbe volare a vele spiegate.

31 Ott 2011 | ore 08:01

Corelli è stato un grande innovatore e anche un bravo insegnante ma dopo il Trigabolo nei suoi ristoranti non ha più fatto una grande cucina forse perché sempre alle prese con i costi di gestione e i problemi familiari.

31 Ott 2011 | ore 09:36

"Erano i Beatles della cucina italiana", ebbe a dire qualcuno di nostra conoscenza :-)

Purtroppo non ho mai assistito a un loro concerto in formazione originaria
Per fortuna ho partecipato al bel reunion concert del 2004, con alcuni dei grandi classici in scaletta. E considerando che erano tutti brani che avevano ALMENO 12 anni di vita, devo dire che erano tutti di soprendente attualità e modernità

31 Ott 2011 | ore 12:51

Gran posto, un po' triste la piazza. Igles allora era un visionario ispirato, e Rossetti non lo frenava certo, anzi... Ricordo che già allora si pensava a una Spuma di costolette d'agnello, e Roses nessuno sapeva dove fosse. Gualandi poi, sapeva fare miracoli con dei semplici cachi. Barbieri lo ritrovai per qualche tempo alla Grotta a Brisighella, e fu un sogno approfittare della sua cucina per 30.000 lire! Anche se Nerio Raccagni era un po' più oculato con le provviste e i costi, di Rossetti... I garganelli di cui si parla nel racconto, poi, io ogni tanto li preparo ancora, a casa, semplici, geniali e coloratissimi, col prosciutto croccante sopra. Uno dei pochissimi piatti in cui l'uso della panna ha davvero un senso. Ah, la bassa...!

31 Ott 2011 | ore 15:49

Stefano... Quanti ricordi, persino la lacrimuccia... Il Trigabolo era uno dei miei posti con Alessandra, ci andavamo e tornavamo felici, sempre coccolati e accuditi con grazia. Eravamo giovani, correva la New wave e vestivamo di nero ascoltando i taliking. Heads... Non erano i Beatles ma piuttosto più dalle parti di byrne e soci, ma in più con il portato dell'esperienza e saperi di rossetti! Sarà che eravamo ragazzi, ma non mi sono mai più esaltato così tanto in un ristorante come in quella triste e brumosa piazza di Algenta...
Ricordo ancora il nostro ultimo pranzo li, tra natale e capodanno saremmo arrivati la notte a Siusi allo scilar ubriachi e felici, miracolosamente illesi, dopo aver mangiato e bevuto da sogno! Dopo poco chiuse...
Ciao A

31 Ott 2011 | ore 16:05

Me lo ricordo ancora quando andai x la prima volta al Trigabolo avevo 10 anni ed era il '90, mio padre disse:"Oh sabàt ad sìra anden a magnàr in un post ad Arzenta" (sono della bassa Argenta dista dal mio paese 30km).
Quel posto era il Trigabolo e li, in quel ristorante che dava sulla piazza, entrando rimasi folgorato... cavolo... che cosa è questo?
Ho scoperto dopo che forse era la cosa + vicina che esistesse al paradiso in terra...
Ora dopo tanti anni e con l'età della ragione, posso dire che è stata l'esperienza che mi ha segnato maggiormente, xchè da semplice ragazzino un pò abbondante mi sono tramutato in un gourmet extra large.
Oggi ho la fortuna di essere amico personale di alcuni discepoli di questa fantastica "BAND" così spesso mi posso beare dei loro ricordi e dei loro piatti...
L'unico appunto forse va fatto all'istituzioni xchè ne allora ne tanto meno oggi si sono accorti di avere una "GERAZIONE DI FENOMENI" e non hanno saputo sfruttare l'occasione x fare sistema...
Ma si sa siamo in Italia...Ahi..me

31 Ott 2011 | ore 17:57

Sicuramente sono stati e sono ancora dei grandi!
Io purtroppo ho conosciuto il Trigabolo solo grazie ad un articolo di qualche anno fà uscito sul Gambero se non sbaglio!!!!
Peró devo dire che i piatti di allora sono del tutto attuali!!! Evviva la cucina genuina, quella vera peró!

01 Nov 2011 | ore 00:01

Straordinario e intensamente emotivo: come sempre. Ma soprattutto capace di instillare la voglia e il desiderio di conoscere, (ri)evocare. Tristissima, invece, la notizia (che non sapevo) degli avvoltoi che, in articulo mortis, approfittarono del locale. Davvero triste.
Specie per chi come me, nato nel 1973 lontano da Argenta (dove peraltro so esserci stato un importante stabilimento di conserve alimentari), del Trigabolo ha potuto solo apprezzare la rievocazione in salsa Bonilli. Capace di farteli gustare, quei bigné caramellati, come fossero a portata di mano. La storia della grande cucina italiana 'dell'estrema provincia', a mio avviso Direttore, potrebbe essere arricchita con una storia che nessuno, sino ad oggi, ha mai raccontato.
Siamo a Trecate, paesone di sufficiente tristezza incastonato tra Milano e Novara, lungo il fiume Ticino. Poco più di 15mila abitanti, edilizia privata criminogena, tante raffinerie nei dintorni. Tra il finire degli anni Novanta e l'inizio del nuovo Millennio lavorano, a distanza di 25 metri l'un dall'altro, due campioni molto dissimili (ma forse non cosi tanto) dei fornelli: al Macrì c'è Paolo Viviani, classe 1967, passato alla corte dei sommi fratelli Vai del Cavallo Bianco; al Caffè Groppi c'è Fabio Barbaglini, classe 1973, reduce dal lungo apprendistato dall'altrettanto sommo Ezio Santin.
Barbaglini apre nel maggio 1998, un martedì dal tramonto rosso fuoco. Un giovane giornalista con velleità gastrofile, allora 24enne, legge con stupore che il primo antipasto è la Brandade di Stoccafisso. Non lo conosce, ma individua subito in Barbaglini il genio nascente. Paolo Massobrio e la Stampa ne scriveranno solo dopo 1 anno. A quel tempo, menù degustazione 50mila lire, il Caffè Groppi è pura poesia. A 25 metri, appunto, Paolo Viviani con la coriacea moglie Maddalena in sala e zero aiuti in cucina, solo una gentile signora a lavare i piatti in cucina nel fine settimana, sempre se libera dagli impegni nella vicina chiesa parrocchiale.
Viviani stupisce, ricerca, fa una cucina di grande talento e sapidità (pescatrice avvolta nel guanciale in fumetto di zafferano, e chi la dimentica più..). Al Macrì si cena con 50, 60mila lire, vini inclusi; a esagerare 70 pezzi da mille, con tanto di formaggi della grande Felicita Fantino di Caltignaga, altro vanto italiano passato nel dimenticatoio. I due si scrutano, si parlano, la concorrenza non è così conflittuale. Due locali del genere in un paesone di 15mila anime, manco fossimo sulle rive del mare nelle Marche...
Dura qualche anno, poi basta. Fabio Barbaglini (clientela milanese 95%, piemontese 4.99, trecatese 0.1) getta la spugna e punta altrove. Paolo Viviani viene notato dai maggiorenti dell'hotel San Rocco di Orta, dove andrà a far compagnia al vicino di albergo Tony Cannavacciuolo. Altro caso- Viviani- di stellato non riconosciuto, che ormai fa spallucce per il mancato tributo della Rossa. Nessuno alzò un dito per trattenerli, nessuno disse una parola per ricordarli, nessuno si sforzò di omaggiarli: chissà cosa sarebbe successo, se fossero rimasti almeno un po' di tempo in più... Altro che rock band, sarebbe venuta fuori una jam session da urlo. Ma così va l'Italia a tavola, tra chili di rancore e invidia e le fatiche nascoste di grandi locali snobbati (specie dalla clientela autoctona), attorniati da pizzerie e ristoranti dove c'era e c'è da ringraziare il Cielo se non esci intossicato.
Sic transit..
Tuttavia una speranza c'è: raccontare, descrivere, ricordare. Come fa Stefano Bonilli. In questo caso, una buona memoria di quello che siamo stati non può che giovare. Ad majora, per dirla con un grande gourmet amante del Piemonte.

Ps Direttore, forse è venuto ancora una volta il tempo di ricordare Mirella e Peppino Cantarelli da Samboseto..

01 Nov 2011 | ore 15:03

Sabato sera Giacinto ha cucinato a Ravenna una cena di caccia memorabile... Sono i piccoli privilegi della provincia! Comunque io frequento spesso Giacinto e ancora oggi penso che lui sia ancora uno dei grandi intellettuali del cibo in Italia. Senza di lui il trigabolo non ci sarebbe stato, lui è libero e sempre sull'uomo, sempre spiazzante. La testa è sempre stata lui. Giorgio

01 Nov 2011 | ore 17:52

La Romagna, con le sue cittadine provinciali, soprattutto in quella data di apertura del Trigabolo, aveva ed ha tuttora per la ristorazione una grossa percentuale di probabile clientela legata ancora a tipici mangiari tradizionali: tagliatelle, cappelletti, grigliate e Sangiovese, (fra l'altro, mica male). Quando, specie a quei tempi, c'era il coraggioso, geniale gestore che metteva in gioco la sua esperienza, innovazione, ed impegno finanziario, d'aprire un esercizio d'ospitalità in quel contesto, sicuramente arretrato in cucina, esisteva una forte diffidenza da parte dei locali. Con una ristretta percentuale di clientela che ti ammirava ed apprezzava frequentandoti; c'era poi la stagione estiva, il maggiore lavoro che portava il sabato e la domenica, ma queste ristrette possibilità di lavoro non erano e non sono tuttora sufficienti a sostenere una gestione ovviamente dai costi elevati.
Specie in Romagna sono stati molti mie colleghi che hanno tentato questa esperienza con relative soddisfazioni e continuità, ma alla fine tirando le somme, era più la passione, l’ambizione professionale che i margini di guadagno che li sosteneva a tirar avanti. Chi ha resistito, chi si è trasferito in località più propizie, chi ha dovuto chiudere. E' certo molto triste e immensamente faticoso continuare ogni giorno ad essere creativi nel mestiere e sorridenti nel ricevere per poi combattere sempre con l’insoddisfazione finanziaria.
E così che mi allego al commento di Alberto sulle istituzioni. Queste autorità locali invece di supportarti, nei loro limiti al loro possibili, ti stanno addosso per trovarti sempre una possibilità di mortificare il tuo immenso impegno, ti considerano dei sognatori fuori dai loro sistemi. A meno che tu non sia manifestamente di parte politica, ma un buon gestore non dovrebbe avere apertamente idee politiche.
Personalmente ho vissuto anch'io, con l’impegno di tutta la mia famiglia, una sciagurata storia. Dopo aver lasciato il Paese per imparare il mestiere e le lingue in Italia ed all’estero, sono tornato ambiziosamente al mio Paese nativo, in gran sviluppo turistico, per portare le mie esperienze e così a fine anni 70 ho aperto sulla passeggiata centrale di Milano Marittima, per qui tempi, il primo “American Piano Bar”, poi con gli anni, ed un altro forte investimento di denaro, è diventato anche ristorante. La novità di questo lavoro di drink miscelati, l’ambiente elegante, un bravo pianista cantante e un attento servizio al tavolo è costata tante stagioni di sacrifici di lavoro e di denaro. Poi il meritato successo tanto è che ero fortemente imitato, anche perché io insegnavo il mestiere del barman e le moderne gestioni negli IPSAR e con dei corsi per le associazioni di categoria. Tuttavia benché ci fosse tale grande impegno, a parole anche riconosciuto dalle autorità comunali, ero sempre ostacolato dalla polizia comunale che mi imponeva di smettere di suonare a mezzanotte in punto, quando invece in quelle ore ospitavo il pieno del locale con soddisfazione del pubblico che si godeva il buon bere e della buona musica da piano bar e così potevo avere il giusto compenso d’incasso. Anche Igles frequentava il mio locale a tarda serata, forse per cercare un meritato relax! E’ continuato così fino a che, dopo quaranta anni di gestione, sono rimasto sul “lastrico” per uno sciagurato sfratto, attualmente sistema abituale nell’ambito di Milano Marittima. La mia azienda non era più sufficientemente remunerativa per il proprietario dell’immobile, al rinnovo del contratto d’affitto mi è stata chiesta una cifra impossibile.
Mi sono rivolto anche ai Santi, ma nessuno ha saputo, o voluto, fermare questa anomala maniera di rovinare il meglio del lavoro di una vita che ha dato lustro alla località balneare.
Ad Argenta ci sarà nebbia e zanzare, ma a Milano Marittima centro c’è ora una grande marmaglia che strabeve e insozza l’ambiente e sopratutto a loro è concesso di fare musica fino all’alba.
Era meglio se a suo tempo impiantavo un chiosco di piadina!
Ora sono ancora virtualmente nel mestiere con un blog, ho sempre amato il mio bel mestiere.

01 Nov 2011 | ore 17:53

E ci gravitarono anche Marco Merighi e Pierluigi Di Diego dell'odierno Don Giovanni
Una fucina di talenti davvero unica
Racconto da brividi e da malinconia felice

01 Nov 2011 | ore 20:26

Grazie Stefano x non dimenticare, e per non farci dimenticare, post da brivido. Grazie da Lido

01 Nov 2011 | ore 20:53

Manifestazione a Greve in Chianti, giovane maitre con i miei alunni di scuola, seguo le serata con il Pinocchio di Borgomanero, l'Ochina Bianca di Mantova e oi arrivano loro, del Trigabolo...vederli stirare le tovaglie sui tavoli disposti nella sala mensa della scuola mi fece un certo effetto..il giorno dopo cucinarono al Palazzo dei Vini di Firenze(anch'esso defunto purtroppo)un pranzo per la presentazione della convention dei vini toscani che si teneva a Firenze quell'anno. Indimenticabili i ravioli di faraona allo zabaione al parmigiano, o il risotto al germano...li pensavo bene a cucinare la notte, da veri creativi, con la musica di sottofondo..

01 Nov 2011 | ore 22:01

Non voglio e non posso permettermi nemmeno lontanamente il paragone con questi grandi nomi della Ristorazione Italiana. La nostra e un 'impostazione diversa più leggera e meno impegnativa riguardo il termine più classico di ospitare clienti ai tavoli,ma ci siamo imposti sin dall'inizio della nostra avventura la scelta della ricerca della qualità delle materie prime da più di vent'anni in giro per la Penisola e di proporla nella nostra realtà che non e che brilla per appassionati gourmet. Certo fà veramente male vedere tanti nomi storici del settore che scompaiono, mentre impera sovrano il proliferare di locali dove di tutto viene proposto ma la qualità non sanno nemmeno dove abita.

01 Nov 2011 | ore 22:23

A proposito dell'Ochina Bianca di Mantova che ricordava Leonardo Romanelli ,conservo un ottimo ricordo riguardo ad alcune serate passate da loro assaggiando i piatti in carta(stracotto all'amarone, luccio in salsa) al rientro dalle giornate trascorse alle varie edizioni del Vinitaly degli anni novanta nel locale del bravo Gilberto Venturini.

01 Nov 2011 | ore 22:36

P.s. La ragazza nella foto è elga cavallini!

01 Nov 2011 | ore 23:27

Il marchio è indelebile chi ha cucinato in compagnia dei pink floid a manetta dando sfogo a tutta la creatività senza nessun freno e con la competenza filosofica dell'istrione Giacinto e della sfacciataggine di Luigi basigli e il grandissimo falchet il trio patron grazie per aver dato la vita per quel posto anzi quel castello, non si perdono più determinati valori se sei del Trigabolo sei del Trigabolo a vita.Due cose tengo a precisare avanguardisti veri nel Ristorante dove copiare piatti era vietato ma non era vietato capire la filosofia di altri cuochi . non a caso oltre al grande trigabolo nasce anche saperi e sapori anche questa una chicca che ci permetteva di capire dove stava andando la gastronomia mondiale e debbo dire che capimmo di essere avantissimo 1985 Crema di pomodoro del piennolo servita a 48 gradi con gelato di aceto balsamico tradizionale scusate se è poco. Un altra chicca per capire che motivazione c'era in quel castello a Natale facevamo l'albero con le copertine delle guide gastronomiche.E si scopava pensando al cibo pura follia Grazie Giacinto Luigi Gualtiero il falchet Mauro Ualandi Bruno biolcati Bruno Barbieri Flavio Errani Flavio signani Elga Cavallinila mitica Giannina da Voltana marco Merighi Didigo Mark Kassara Italo Bassi Laddetto al rame il pittore Cevenini e a tutto lo staf della CAPANNA DI ERACLEO che hanno sempre creduto in noi grazie grazie da parte mia è stato bellissimo vivere 14 anni della mia vita con voi mi mancate

02 Nov 2011 | ore 15:18

Un'altra bellissima storia!

02 Nov 2011 | ore 16:36

Grande Igles. Standing Ovation

02 Nov 2011 | ore 17:15

..che mole di rimpianti Igles, specie per chi- come me- il Trigabolo non l'ha mai potuto visitare.. Ma ti garantisco che radunerò un ristretto manipolo di amici fidati, e in una notte di luna- in piazza ad Argenta- brinderemo con calici di Champagne a imperituro ricordo della vostra epopea. So long. Per quelli del Trigabolo.

02 Nov 2011 | ore 21:34

La politica e i Ferraresi non hanno saputo difendere un valore aggiunto per il territorio come il Trigabolo e Saperi e Sapori in Francia sarebbe caduto il governo se due realtà del genere sparite nel nulla anzi vi comunico che l'insegna di saperi e sapori è stata tolta a martellate il rimpianto anche di Riccardo Biavati, l'artista ideatore e la contentezza di alcuni Ferraresi sapere che il Trigabolo chiudeva e il frastuono di pettegolezzi Ragazzi che mondo di merda anzi che territorio di merda .Comunque nessuno potrà far tacere la voce rimbombante del TRIGABOLO grazie Bonilli

02 Nov 2011 | ore 22:21

Caro Bonilli, ci siamo qualche volta "presi" sulla politica ai tempi di Fb....ma le storie che Lei racconta, di quest Ristoranti, da appassionato, da Ristoratore, da lettore....beh, sono veramente emozionanti, bellissime. Chi fa questo lavoro con impegno, con passione, cercando di tirare avanti, sempre, ecco, leggere queste storie, fa bene. Grazie.

02 Nov 2011 | ore 22:38

Caro Sig.Igles
mi dispiace molto sentire queste sue parole verso un territorio, che si è stato un ingrato nei suoi confronti al termine della sua avventura con le Tamerice, e forse non è nemmeno stato troppo comprensivo ai tempi del Trigabolo, però non si scordi, che le sue crezioni sono frutto del terroir in cui operava e la sua Gloria culinaria dalle materie prime del luogo, per non parlare della cacciagione e delle anguille che ancora si fa mandare nel suo esilio dorato di Pescia.
Perciò prima di esternare tutto il suo livore scatologico, verso i politici e i ferraresi perchè non chiedersi il Perchè della fine di questa "Rock Band"?
Forse perchè il destino delle grandi e mitiche "ROCK Band" è proprio quello di sciogliersi? Ed intraprendere carriere soliste o la soppraggiunta defezione di un leader... questo non è certo il vostro caso e non me ne vogliate se in qualche modo ho potuto solo pensare a fare ironia spicciola... però resta un però. Come è potuto succedere e perchè ci sono stati pure sciacalli che ne hanno approfittato?
Con ciò voglio solo dire che con un pò di SERIA AUTOCRITICA si può ricordare e raccontare una grande esperienza che è stata non rimpiangerla...E se vorrete invitarmi in una notte di luna nella P.zza d'Argenta a brindare con voi a ciò che è stato ne sarò molto onorato, perchè forse sarò stato troppo cinno quella volta che ho varcato la soglia del Castello del TRIGABOLO, però MAIAL SE MI HA SEGNATO....

Distinti saluti Alberto il "pocy"

03 Nov 2011 | ore 00:39

Respect, Igles

03 Nov 2011 | ore 07:14

Intanto Pescia non è dorata ma una situazione gastronomica che sarà sicuramente vincente le materie prime che uso fanno parte di un territorio nazionale quindi non devo nulla al territorio, solo al sapere del mio nonno, fiocinino e bracconiere.Ma come sempre accade in questo paese si parla sempre dei singoli.La squadra e la sapienza intellettuale di Giacinto hanno fatto grande questa idea trigaboliana.L'ambiente è stato ostile per invidia ma di che cosa? lavorare per il territorio per un ideale (la rottura col martello dell'opera d'arte di riccardo biavati dei messi del comune la dice lunga Saperi e sapori era lo strumento all'occhiello del Trigabolo e del Territorio Gli unici che hanno lodato il ristorante e che si inorgoglivano del fatto che un loro cittadino era a capo della brigata del trigabolo i Filesi cittadini di Filo dove sono nato.Comunque ripeto che un gruppo del genere non dico che non si ricreerà più ma sarà molto difficile una formula esplosiva in un territorio umido non ha dato tutto il suo potenziale anzi andavamo con un filo di gas.ora per altri 10 anni non parlerò più del Trigabolo fa male al cuore. Li nasce la cucina TECNOEMOZIONALE

03 Nov 2011 | ore 10:41

Arrivo ultimo, come al solito. Per dire che mentre Stefano scriveva questo bel post, io stavo assaggiando la cucina di un Igles in forma smagliante, all'Atman. Se ne potrà leggere sull'Espresso del 18 novembre. A tutti dico che Pescia non è poi così lontana. Forza Igles.

04 Nov 2011 | ore 11:08

Igles è una persona con la quale è bello parlare, è bello lavorarci assieme - ho progettato e dato vita con lui e Pia ai corsi di cucina del gambero rosso - è un grande cuoco con una storia, quella del Trigabolo, che lo pone ai vertici della cucina italiana dell'ultimo trentennio.
Igles è anche un amico.
Sono contento che Enzo Vizzari dia un giudizio positivo anche su questa nuova iniziativa di Igles, il ristorante Atman di Pescia, e presto lo andrò a trovare.

04 Nov 2011 | ore 12:50

Grazie Stefano grazie Enzo a presto

05 Nov 2011 | ore 06:49

Abitando poco lontano ho voluto provare troppo presto, confidando che corelli non necessitasse di tempo per messe a punto, la sua cucina a pescia. Ben tre volte. Non ricavando belle impressioni, per la verità. Insieme a conti troppo sostenuti. poi recentissimamente e quando meno me l'aspettavo, un pranzo solare, con mano ispirata e fermissima.Piatti come quelli sopra descritti, Germani e fischioni. Un risotto da campionato del mondo. Se corelli non si offende, l'ho trovata una cucina moderna, che forse si potrebbe definire una cucina da bistrot di altissimo livello, direi da podio interstellare. Pescia e'comodamente raggiungibile perfino in treno, da Firenze e quindi velocemente da ogni parte d'Italia . Per me 30 minuti di strada, che ora percorrero' con l'acquolina in gola.

05 Nov 2011 | ore 06:51

Paradossalmente io che invece sono praticamente accanto a Igles ho meno ispirazione nel fare quei 100 passi (contati) a causa dell'innata voglia di allontanarsi dai luoghi in cui abitiamo/lavoriamo per fare grandi pranzi . Ma non mi dispiacerebbe tornarci un'altra volta (magari paga Maffi...)
.
P.S. L'acquolina viene in bocca e non in gola ! :-)

05 Nov 2011 | ore 12:33

Che nostalgia dei tempi andati fa venire questo post e personalmente anche un po' che rabbia. Pensare di ricordare pochi sprazzi e solo quei bigné è un peccato, ma è rimasta un'esperienza impressa nella memoria nonostante non avessi nemmeno 10 anni. A rileggere quel menù dalla copertina rossa che conservo, oggi si può dire che molti dei piatti ideati all'epoca siano ancora per certi versi rivoluzionari.

06 Nov 2011 | ore 23:29

Negli anni ottanta sicuramente non pensavo al cibo, la mia passione è nata più tardi, ho conosciuto Igles perché feci un corso privato alla locanda e quando arrivai mi mise a spennare germani,lo fregai, originario non delle valli ma del padule di Fucecchio e con famiglia di cacciatori, ero avvezzo a cose ben più ruspanti. Da allora è nata un'amicizia e dall'amicizia è nato Atman.
Una brigata quindi oggi si ripropone alla guida del grande Chef e con personaggi di carisma indiscusso, Marco Cahssai, il secondo di Igles i sommeliers Marta e Angelo, Federico e Allessandro in sala due ragazze in cucina Alketa e Gaia un giovane appena arrivato Andrea. Una brigata di cui sono orgoglioso che mi fa pensare che la grande ristorazione esiste ancora.Ogni obbiettivo va perseguito pensando che oggi è meglio di ieri ma peggio di domani e so che Igles è venuto a Pescia con questo spirito.
Un grazie di cuore a Enzo Vizzari a Stefano Bonilli a Giancarlo Maffi per le loro parole e a tutti i giovani e anziani che continuano a crederci ma soprattutto a Igles.

07 Nov 2011 | ore 20:43

Direttore,grazie per questi bellissimi articoli che colgono molto bene lo spirito dei locali di cui parla e che mi fanno tornare indietro negli anni.
All'epoca con un gruppo di amici,appassionati di basket e di cucina,tifosi sfegatati della Enichem Livorno giravamo l'Italia abbinando alle trasferte della nostra squadra del cuore visite nei ristoranti che più ci ispiravano.
E così siamo stati al Sole di Maleo,al Trigabolo appunto,al San Domenico ad Imola,Antica Osteria del Ponte,Harri's Bar a Venezia,Gualtiero Marchesi a Milano,Enoteca Pinchiorri..
Il nostro preferito però,forse anche per la vicinanza a Livorno,era la Locanda dell'Angelo di quel gran personaggio (forse a torto da tanti dimenticato) che era Angelo Paracucchi.
Sarà possibile leggere qualcosa di suo su quello che per noi era il Maestro?

15 Nov 2011 | ore 18:27

Si, penso proprio che quanto prima scriverò un articolo su Paracucchi perché è vero che è stato un grande ma molto sottovalutato.
Era amareggiato e ai bei tempi del GR gli volevamo dare un premio, lui si era ritirato in Umbria, ma quella volta non volle venire.
E così niente applauso da una platea che lo avrebbe festeggiato come meritava.

15 Nov 2011 | ore 19:32

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